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Tre incipit per tre case di Ambrose Bierce

Case infestate in letteratura. Quelle case nel bosco è una rubrica, nelle settimane che precedono Halloween, dove si leggeranno romanzi e racconti a tema.

Un rampicante su una casa

A circa sei chilometri dalla cittadina di Norton nel Missouri, sulla strada che porta a Maysville, c’è una vecchia casa che, l’ultima volta, è stata occupata da una famiglia di nome Harding. Dal 1886 non ci ha vissuto più nessuno e, nessuno avrà più intenzione di andarci a vivere. Il tempo e il disprezzo di coloro che vivevano nei paraggi la stanno trasformando in una rovina piuttosto pittoresca. Un osservatore che non conosca la sua storia sarebbe restio a inserirla nella categoria delle ‘case infestate’, eppure, in tutta la regione circostante, questa è la sua nomea. Le finestre sono prive di vetri, i vani sono senza porta; nel tetto di legno ci sono ampi squarci, e le assi del rivestimento, essendosi ormai scrostata la vernice, sono di un grigio opaco. Ma questi infallibili indizi soprannaturali sono parzialmente nascosti e fortemente attenuati dalle foglie rigogliose di un grosso rampicante, che ricopre l’intera struttura. Questo rampicante – di una specie che nessun botanico è mai stato in grado di classificare – riveste un ruolo importante nella storia della casa.

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Non ho mai apprezzato Ambrose Bierce quanto Edgar Allan Poe e Lovecraft. Eppure la sua scrittura colloca in una topografia reale e americana, riflette sulle suggestioni del lettore e di chi racconta, ha un guizzo diverso per una lettura più dinamica, rispetto agli altri due scrittori americani. Se consideriamo la mia cronologia di lettura, è inevitabile pensare che uno degli ultimi arrivati sia relegato al ruolo di emulo. Eppure, le atmosfere reali e polverose del sud degli Stati Uniti e la propensione verso una chiusura a effetto l’ha sradicato da scrittore subalterno fino a creare un filo rosso – molto lungo – che lo collega alla southern literature. Per esempio, con Flannery O’Connor non condivide l’intento religioso e morale e la descrizione estatica dei paesaggi del sud, ma ha in comune la conclusione improvvisa e rivelatrice che se con la O’Connor corrispondeva a una visione ultraterrena, una redenzione che ha del divino, con Bierce diventa orrore puro. Sto pensando a Chickamauga (1889), il racconto del gioco di un bambino che incontra un’orda di uomini insanguinati e crede di condurre il suo esercito in una guerra immaginaria; penso a Accadde al ponte di Owl Creek (1890) storia di un impiccato che spera di poter sfuggire alla morte.

Il destino di Bierce sembrava essere rivolto alle radici famigliari con una madre e un padre vicini alla chiesa degli shakers. Tuttavia, scelse di partire per la Guerra civile americana che lo segnerà gravemente, oltre che nel fisico, anche nella psiche. Si sposterà a San Francisco riuscendo a diventare giornalista alle dipendenze del magnate dell’editoria William Hearst, ma continuerà a rievocare il trauma del conflitto soprattutto nei racconti (primo fra tutti Chickamauga, nome di una battaglia durante la guerra civile).

Sono proprio le avventure e le atmosfere western, l’aura polverosa di un mondo che affoga i segreti nell’oblio, una giustizia che se non è divina diventa demoniaca, a fare di lui l’iniziatore di un particolare ramo della letteratura dell’orrore: il weird western. Così, Ambrose Bierce guadagna una propria personalità con una geografia di temi e modalità di componimento a lui cari – che poco si notano nei racconti sulle case infestate -, persino più agevoli della scrittura estremamente dettagliata di Poe. La dimostrazione, ancora una volta, che l’horror, anche se vittima di mode letterarie, non è mai un genere di riciclo, o meglio, lo è soltanto se chi ne scrive porta un contributo originale arricchendo con stile e inventiva.

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La casa del fantasma

A una trentina di chilometri dalla strada che porta da Manchester, nel Kentucky orientale, alla cittadina settentrionale di Booneville, nel 1862, si ergeva una casa colonica di legno, di un livello leggermente superiore rispetto a quello della maggior parte delle abitazioni della regione. L’anno seguente, la casa venne distrutta da un incendio, appiccato probabilmente da alcuni sbandati della colonna in ritirata del generale George W. Morgan, quando questi venne cacciato da Cumberland Gap al fiume Ohio dal generale Kirby Smith. Ai tempi in cui venne distrutta, era già vuota da quattro o cinque anni. I campi che la circondavano erano ricoperti di rovi, le recinzioni divelte, perfino i pochi alloggi dei negri e le capanne in generale erano parzialmente cadute in rovina in seguito all’abbandono e ai saccheggi; infatti, i negri e i bianchi poveri della zona trovarono nell’edificio e nella recinzione una fonte abbondante di combustibile, di cui si servirono senza esitazione, apertamente e alla luce del sole. Solo alla luce del sole, però; dopo il calar delle tenebre, nessun essere umano, tranne gli stranieri di passaggio, osava mai avvicinarsi a quella casa.
Era conosciuta come la ‘casa del fantasma’.

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Al di là della parete

Molti anni fa, mentre mi dirigevo da Hong Kong a New York, trascorsi una settimana a San Francisco. Era passato parecchio tempo da quando ero stato in quella città, e durante quel periodo i miei affari in Oriente avevano prosperato al di là delle mie aspettative; ero ricco e potevo permettermi di tornare nel mio paese, per rinverdire l’amicizia con i miei compagni di gioventù che erano ancora in vita e si ricordavano di me con un affetto di vecchia data. Speravo che tra questi ci fosse Mohun Dampier, un vecchio compagno di scuola con il quale avevo intrattenuto un rapporto epistolare saltuario cessato da tempo, come succede nelle corrispondenze tra uomini. Forse avrete notato che la riluttanza a scrivere una semplice lettera amichevole è direttamente proporzionale al quadrato della distanza tra voi e il vostro corrispondente. È una legge. […]

La notte in cui andai a trovarlo era tempestosa. Era iniziato l’inverno californiano, e la pioggia incessante sciabordava sulle strade deserte o, sollevata da irregolari raffiche di vento, veniva scagliata contro le case con una violenza incredibile. Non senza fatica, il vetturino riuscì a giungere a destinazione, in un sobborgo poco popolato che si trovava fuori mano sul litorale oceanico. La casa, alquanto brutta all’apparenza, sorgeva nel bel mezzo del giardino, che da quanto potevo vedere nelle tenebre era privo sia di fiori che d’erba. Tre o quattro alberi che si contorcevano e gemevano nel supplizio della tempesta sembravano voler fuggire dal tetro ambiente circostante e cogliere l’opportunità di trovarne uno migliore alla larga da quei luoghi. La casa era una struttura di mattoni a due piani con una torre, più alta di un piano, che si trovava in un angolo. Da una finestra della torre proveniva l’unica luce visibile. Qualcosa nell’aspetto della casa mi fece rabbrividire; reazione, questa, a cui contribuì un rivolo d’acqua piovana che mi scese lungo la schiena mentre correvo a ripararmi nel vano della porta.

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Citazioni tratte da: Ambrose Bierce. Tutto i racconti

Traduzione: Sara Brambilla

Editore: Fanucci

Anno: 2013

Pagine: 500

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4 commenti

  1. […] a comporsi di sguardi ostili e maledizioni intrinseche che contagiano proprietari e muri, l’architettura dell’orrore ha la particolarità di suscitare un sentimento sinistro […]

  2. E’ interessante notare che, quanto più l’orrore è inserito nella realtà, tantopiù colpisce la fantasia.

    1. Sono d’accordo. Io l’ho notato soprattutto con King. Con Lovecraft, al contrario, la paura è più un collegamento con il presente.

      1. Di King fa paura la banalità delle vite di tanti nei suoi racconti e l’indifferenza, le vittime sono vittime nell’indifferenza.

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