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Sull’illusione del reale di Philip K. Dick

Franklin D. Roosevelt viene ucciso prima della fine del suo mandato. Niente New Deal, al suo posto si succedono presidenti incapaci di capire le reali esigenze dello stato. Arriva la seconda guerra mondiale e, invece di Pearl Harbor, l’evento che scatena l’entrata in guerra degli Stati Uniti, nel 1941 cade l’Unione Sovietica e gli eserciti tedeschi possono riunirsi nel Medio Oriente e occupare parte del territorio russo.

La capitolazione degli Stati Uniti, rimasti soli in guerra, avviene nel 1947. Da questo momento in poi esisteranno 3 americhe, oltre a quella del sud: gli Stati Uniti Orientali sotto il dominio tedesco, gli Stati Uniti Occidentali, finiti nell’orbita d’influenza del Giappone e, tra loro, lo stato delle Montagne Rocciose.

È il 1962 e La svastica sul sole (conosciuto anche come L’uomo nell’altro castello, The Man in The High Castle) fa la sua comparsa nelle librerie americane. È il tempo di Kennedy, il tempo delle grandi speranze, della prosperità e di tante contraddizioni interne – lotta razziale – ed esterne – crisi cubana, guerra del Vietnam. Che cosa voleva dire presentare ai lettori un mondo dove il nazismo ha trionfato e l’identità americana è pressoché inesistente?

Il punto è che date, nomi e riferimenti storici non sono il fulcro della storia, ma rimarranno punti di fermi nei destini dei protagonisti che si attivano come l’eco di un domino lontano. Viene la tentazione di pensare a un fato predeterminato proprio come la cultura orientale, radicata nelle abitudini dei personaggi, li spinge a sottoporre qualsiasi decisione alla consultazione dell’I Ching, il Libro dei Mutamenti. La combinazione degli esagrammi li fa annaspare alla ricerca disperata di un senso della vita e di un’interpretazione del futuro che li esima da future conseguenze.

0575082054originalL’addossare parte della responsabilità al libro dei Mutamenti è la stessa fede che molti di loro si stupiscono di trovare ne La cavalletta non si alzerà più, il libro nel libro, scritto da un misterioso autore che racconta la vittoria degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale e il dividersi il mondo con l’Inghilterra.

Due libri e tre realtà (divinatoria, fantastica e reale) per risollevare le sorti di un popolo sottomesso che non ha la minima idea di cosa significhi rivendicare la responsabilità storica della scelta individuale e non è scontato che scelga l’ideologia democratica.

La cultura che nasce sotto il regime giapponese può essere anche qualcosa che si avvicina più a un incubo, in questo caso all’incubo in cui può trasformarsi la realtà degli anni Sessanta.

Devo guardare in faccia la realtà. Mi sforzo di fingere che questi giapponesi siano uguali a me. Me ecco che, anche quando dichiaro con entusiasmo che sono stati loro a vincere la guerra, e che è stata la mia nazione a perderla…anche allora non c’è un terreno comune. Ciò che le parole significano per me è in netto contrasto vis-à-vis con il loro punto di vista. Hanno un cervello diverso. E così anche l’anima. Li vedi bere dalle tazze di porcellana inglese, mangiare nei piatti d’argento americani, ascoltare musica nera. È tutto superficiale. Il vantaggio della ricchezza del potere li rende disponibili a tutto ciò, ma è un ersatz, potete starne certi. […]

Solo le razze bianche hanno il dono della creatività, rifletté. Eppure io, membro di queste razze per diritto di sangue, devo inchinarmi fino a terra davanti a questi due. Pensa come sarebbe stato se avessimo vinto noi! Li avremmo spazzati via.

(La svastica sul sole, pp. 150-151)

È Childran che parla e si ribella ai padroni trasformandosi in qualcosa di mostruoso, un razzista senza remore. Se con lui la storia è destinata a ripetersi, un tentativo di salvezza arriva paradossalmente da Tagomi, il giapponese dedito alla saggezza orientale che, per opporsi al regime nazista, salva un perfetto sconosciuto dalla deportazione

Tutto questo per dire che sì, la storia è qualcosa più grande di noi e l’unica cosa che rimane è essere consapevoli delle proprie scelte. Poi, chissà, anche noi potremmo cambiare il mondo.

eBm2nFdL’ucronia di Dick può definirsi fantascienza fino a un certo punto, ma non arriva mai a essere l’esaltazione di un genere mainstream, alla B-movie. Come per Vonnegut e per Bradbury il percorso di Dick sarà squisitamente personale incanalandosi in un’indagine sull’autentico nell’era della “riproducibilità tecnica” e nella ricerca di un senso, mai ben definito, nel rapporto illusorio tra la realtà intima e la realtà esteriore.

L’avvento della società di massa prima e dei mezzi di comunicazione, poi, non parlavano più di individui, ma di gruppi. Non si cerca l’unicum, ma l’unicum da riprodurre per soddisfare il piacere di un numero esponenziale di persone. E così l’arte diventa ripetizione, moltiplicazione e la contrapposizione tra autentico e falso modifica il rapporto con lo spettatore/consumatore.

Leggeremo del mercate Childran, abituato a vendere ai giapponesi, dall’atteggiamento quasi caricaturale, oggetti di poco conto, dell’America che fu, ma fondamentali perché carichi di storicità. Nel momento in cui la storicità scompare, con la scoperta di merce contraffatta, l’interesse dei consumatori si azzera.

Il dominio giapponese non è tirannico, altrimenti avrebbero disciplinato l’arte in favore del regime, si tratta di un assopimento della vitalità identitaria americana manifestata con l’assenza di qualsiasi tipo di espressione artistica. E poi Frank Frink ha l’idea dei gioielli realizzati a mano che, per quanto possano essere prodotti uno uguale all’altro, avranno sempre un’imperfezione che li renderà autentici, non perché pezzi di storia, ma perché porzioni dell’essere vivo.

«Lei deve leggere il mio libro e accettarlo per il suo valore nominale, così come io accetto ciò che vedo…» Accennò nuovamente verso di lei con il bicchiere. «Senza chiederle se quello che c’è sotto è autentico, o se è fatto di cavi, stecche e imbottitura di gommapiuma. Non è forse questa, la fiducia nella natura delle persone e in ciò che si vede in generale?»

(La svastica sul sole, p. 301)

In un nuovo cortocircuito tra autore e lettore, alla fine del libro, non sapremo rispondere alla domanda più semplice. Abbiamo letto un’opera di fantasia, falsa perché quello che racconta non è mai avvenuto, ma abbiamo accolto la finzione come autentica e vera, più di quanto non lo sia un semplice libro di storia.

12074805_10154485069073881_1522690089905995996_nAutore: Philiph K. Dick

Editore: Fanucci Editore

Anno: 2015

Traduzione: Maurizio Nati

Pagine: 316

Prezzo (cartaceo): € 16

P.S.: Dal 20 novembre 2015 Amazon rilascerà dieci episodi di The Man in The High Castle, serie tv ispirata all’opera di Dick. Intanto la prima puntata è già disponibile, perché trasmessa il 15 gennaio scorso. Da quello che ho letto le recensioni sono molto positive. Vedremo.

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4 commenti

  1. Ho comprato per la prima volta un libro di Dick la settimana scorsa, dopo aver letto Cronache Marziane di Bradbury. Ucronie, fantascienza … Questi autori vanno al di là dei generi, sanno parlare all’uomo dell’uomo, e lo sanno fare dannatamente bene. Felicissima di averti scoperta, aggiungo questo libro alla lista #daleggere ! 🙂

    1. Allora tu devi dirmi com’è Cronache marziane. Quella è una mia mancanza 🙂

      1. E’ una raccolta di racconti meravigliosa, che riflette su cosa accadrebbe se l’uomo riuscisse davvero a sbarcare su marte e a colonizzarlo. L’ho letto molto lentamente, per gustarmelo con calma. Bradbury è un sognatore, poetico, musicale, ma allo stesso tempo parla della natura umana in modo ironico, talvolta cinico. Te lo consiglio !

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