Il primo romanzo di uno scrittore di racconti. Definire così Lincoln nel Bardo è confinarlo in una dimensione letteraria limitata. E anche “uno scrittore di racconti” sembra eliminare il talento e tracciare il solco più profondo tra pubblicazioni romanzesche e raccolte di racconti. È vero, però, che il romanzo ha un respiro più ampio, un ritmo che si deve avere l’abilità di dilazionare nel tempo, così come i racconti, banalizzando, giocano su tempi e spazi ristretti. Detto questo Lincoln nel Bardo di George Saunders è il suo primo esperimento di romanzo e ha risultati inaspettati, nel bene e nel male.
Tutto inizia con la morte del piccolo Willie Lincoln nel 1862. Nel bel mezzo delle guerre secessioniste il presidente Lincoln e la moglie affrontano il dolore della perdita. Quando è il momento di dare un ultimo saluto al figlio Lincoln non se la sente. Così come il presidente non riesce ad accettare la morte di Willie, quest’ultimo si ritrova tra gli spiriti del cimitero, incapace di abbandonare la dimensione terrena. Il racconto è affidato alle anime ultraterrene che ci guideranno nel loro mondo e la narrazione procede per battute, come una pièce teatrale. Vi si aggiunge un Saunders che si spoglia dalle vesti di narratore e veste quelle di un meticoloso archivista: recupera fonti primarie e secondarie tra diari, lettere e aneddoti e le assembla come un puzzle. Verrebbe la tentazione di svalutare il lavoro di scrittore, la scarsa originalità della semplice trascrizione di documenti, ma si dimenticherebbe la sensibilità con la quale si sceglie cosa narrare e, soprattutto, come narrarlo. In questo caso l’espediente è utile a non avere un unico punto focale su Lincoln rischiando di essere retorico. L’intervento attraverso le vicende umane dei defunti opera una distinzione fondamentale con il Lincoln politico: le fonti esterne ancorano il fatto storico alla realtà, l’ultraterreno si occupa della costruzione di un grande numero di personaggi che spogliano il presidente dalla sua carica e lo riducono alla sua essenza. Il risultato è un’estrema profondità delle parti lincolniane che funzionano come un monologo teatrale e hanno la potenza del dolore paterno.
L’intera vicenda è ambientata e narrata nel del cimitero di Oak Hill, all’interno del Bardo. Si tratta di una dimensione di transizione che nella religione buddhista corrisponde al tempo immediatamente successivo alla morte in attesa di una rinascita. La versione di Saunders è molto simile al limbo cristiano e ci vivono spiriti che escludono ogni tipo di ascensione – o addirittura vi si ribellano come nel caso del reverendo -, il loro aspetto è deformato da rimorsi e fardelli della vita passata, mentre le loro bare sono “casse da morto” perché non c’è alcuna consapevolezza della propria condizione. Spazzando via ogni significato religioso e politico, il Bardo e la vita nell’aldilà assumono contorni di una visione totalmente umana.
Per restare qui bisogna soffermarsi di continuo sul motivo principale per cui restiamo; anche a conclusione di tutto il resto.
roger bevins III
Bisogna andare costantemente in cerca di occasioni per raccontare la propria storia
hans vollman
Ancora una volta l’operazione di Sauders risulta proiettata, come non mai, al futuro, con lo sguardo all’uomo, profondamente affezionato al postmoderno: i personaggi del romanzo sono fortemente umani se non fosse per le loro modalità di manifestazione. Come tutti i protagonisti dell’autore americano anche gli spiriti del Bardo devono fare i conti con la negazione, il rimpianto e il reclamo di qualcosa che gli è stato negato. A dirla tutta Saunders, con una vita artistica iniziata intorno ai quarant’anni e una serie di raccolte di racconti e saggi eccellenti pubblicati negli anni Novanta, si discosta dal canonico autore postmoderno per proiettarsi più avanti. La complessità linguistica è asciugata in periodi semplici e concisi, l’ironia rimane ed è calibrata in maniera eccellente, la disillusione borghese rivive anche nei suoi racconti, ma è lo sguardo di Saunders a plasmarsi negli anni. Tra le motivazioni che l’hanno spinto a scrivere i racconti di Bengodi Saunders era grato a se stesso per aver abbandonato le manie d’imitazione di Hemingway e di aver capito di voler raccontare una nuova America «in cui le ristrettezze ti fiaccavano, in cui la paura di fallire produceva nevrosi, in cui le ossessioni materiali ti mandavano fuori di testa». E concludeva con l’idea di un libro «sincero, sudato, ed emendato il più possibile, date le limitate capacità dell’autore, da ogni falsità e quindi imbevuto di una sorta di purezza». E proprio tale purezza insieme alla compassione umana l’hanno avvicinato a Kurt Vonnegut fino a reinventare una Spoon River personale. Avevamo letto di un parco a tema della guerra civile proprio in Bengodi, ma avevamo letto anche di altri parchi come di riproduzioni illusorie di un sogno scomparso, di fantasmi che non sapevamo se creati da una vaga follia dei protagonisti; abbiamo letto di droghe futuristiche per riprodurre i sentimenti umani, di ere future imprecisate dove la scalata sociale è determinata da decorazioni umane fluttuanti. Ma avevamo letto soprattutto di individui imperfetti, chiusi nella dimensione di benessere personale, egoismo e profonda mancanza di empatia o, al contrario, completamente abbandonati e socialmente degradati.
Ora, però, con Lincoln nel Bardo la scelta di Saunders è stato riportare tutto questo in una forma embrionale ed evoluta allo stesso tempo. La dimensione ultraterrena è un’umanità portata all’estremo. L’espediente conferisce atemporalità alla vita umana e la allunga potenzialmente all’infinito in una perenne incapacità di accettare la propria sorte. Tale è il salto di qualità di Saunders al romanzo che romanzo non è. Da abile manipolatore di storie decide di includerne una miriade nel giro di poche pagine rischiando di rallentare fin troppo la parte centrale del romanzo. Il cimitero si popola di figure tragiche, persino bizzarre nelle loro vicissitudini, che affrontano l’amore, il dramma e il razzismo. È nella loro ingenuità che il nucleo tematico dell’autore arriva alla sua realizzazione.
La sua mente si era appena volta alla sofferenza; al fatto che il mondo era pieno di sofferenza; tutti tribolavano sotto il peso di qualche sofferenza; tutti soffrivano; qualunque strada si prendesse al mondo, bisognava sempre ricordare che tutti soffrivano (nessuno era soddisfatto; tutti erano offesi, trascurati, misconosciuti, incompresi), perciò bisognava fare il possibile per alleviare il peso di coloro con cui si veniva a contatto; la sua ttuale condizione di sofferenza non era esclusiva, tutt’altro, ma simile a quella che vivevano e avrebbero vissuto altre schiere di persone, in ogni momento, in ogni tempo, e non andava prolungata né esagerata perché, in quella condizione, lui non poteva essere d’aiuto a nessuno e dato che il suo ruolo lo poneva nella condizione di essere di grande aiuto o gran danno, non doveva continuare ad abbattersi, se poteva evitarlo.
hans vollman
Non serve nessuna metafora abilmente costruita della borghesia e del sogno americano tutto declinato al possesso o orientato alla realizzazione personale. Serve semplicemente chi fabbrica tali illusioni: l’uomo. Il ritorno all’uomo è il traguardo più importante raggiunto dal romanzo di Saunders. La dissoluzione materiale dei corpi li priva dei confini interpersonali, così come oggi l’ossessione della condivisione ci ha privato dei nostri. Eppure solo la “possessione” dell’altro – come quando i defunti entrano nel corpo dei vivi -, solo un atto di concreto avvicinamento disinteressato può portare alla vera comprensione. E se, come dice Saunders un libro «non deve fare tutto, deve solo fare qualcosa», allora Lincoln nel Bardo avrà fatto tanto per lui e per noi.
Titolo: Lincoln nel Bardo
Autore: George Saunders
Traduzione: Cristiana Mennella
Editore: Feltrinelli
Pagine: 352
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Credo sia la tua recensione migliore, adesso non mi resta che fiondarmi sulla lettura di Saunders: mi hai convinta!
Grazie! È anche vero che preferisco il Saunders dei racconti, ma con il romanzo è rimasto fedele ai temi a lui cari.
Praticamente sembra che, io e te, abbiamo letto due romanzi completamente diversi. 😀
Sembra anche a me. Però riconosco che la forma scelta da Saunders non è proprio canonica e che può disorientare (o addirittura irritare) il lettore. Io giustifico la forma per l’ambientazione: mondo ultraterreno dove parola cosciente e pensiero si mescolano creando un marasma di voci che si sovrappongono.
[…] di Spoon River e i rimandi più attuali potrebbero portare alla concomitanza con l’uscita di Lincoln nel Bardo, ma a parte i punti in comune con l’idea iniziale, Ó Cadhain intraprende un percorso tutto […]
[…] della natura umana immersa in realtà borghesi e usuranti, fino a diventare un valido romanziere. Lincoln nel Bardo è il punto di arrivo di un autore che ha saputo plasmare il suo rapporto con temi e stile. […]