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Crisi: Il Nix di Nathan Hill

Si citano nomi come David Foster Wallace e Thomas Pynchon per Il Nix di Nathan Hill (traduzione di Alberto Cristofori, Rizzoli, 2017), opera enorme di esordiente, frutto di una composizione durata dieci anni. Sicuramente ha il pregio di una storia accattivante abilmente ramificata tramite una miriade di personaggi. Il racconto ha inizio con l’attentato a un possibile candidato alla presidenza, con un’immagine pubblica molto simile a Trump, da parte di una donna. E proseguirà con Samuel abbandonato dalla madre quando era un bambino. Da questo momento in poi piccoli traumi e dubbi infantili si ripercuoteranno nella vita adulta sotto forma di rabbia repressa e un superiore disprezzo verso i propri, indisciplinati, studenti. Samuel è un insegnante, ma nella vita privata contempla il fallimento di una carriera da scrittore e uno sfogo compulsivo con un gioco online. In una polifonia di interventi dal protagonista ci sposteremo su altri personaggi: Laura Postdam, studentessa dalle esigue aspettative per il futuro; Pwnage, un videogiocatore compulsivo e un procrastinatore seriale; Faye, madre fallita. Su un binario parallelo proseguirà la storia di Samuel, dall’infanzia, e di quella di sua madre. I capitoli intrecceranno il figlio che cercherà di vendicarsi scrivendo una biografia della madre e la storia della madre stessa che incontra le vicende delle proteste studentesche del 1968 a Chicago.

Va da sé che in un intreccio del genere la padronanza della trama – quella sicurezza dell’autore che sa dove ti sta portando -, l’alternanza stilistica e il cambio di tono da personaggio a personaggio sono tutto. Nathan Hill dimostra di essere un abile affabulatore per il potere identificativo della parola che distingue una voce dall’altra, per la capacità di ricostruire un male famigliare che si tramanda di generazione in generazione. Il Nix, infatti, allude a una leggenda norvegese, un fantasma spietato, dietro le sembianze di un cavallo bianco, che attira i bambini e poi li lascia precipitare da una scogliera. Tramutata in terra americana, approdo del padre di Faye, la storia assume una morale tragica sull’abbandono degli ideali e il tradimento degli affetti. Hill rappresenta le conseguenze più devastanti di una malattia sentimentale e dello smarrimento morale: Samuel rancoroso verso il mondo, Faye continuamente instabile e incapace di decidere chi essere; Pwnage, l’apatia della volontà e l’inedia della vita; Laura Postdam il fallimento di un’educazione a suon di giustificazioni; Alice, la manifestante corrotta.

Mi concentrerei proprio sulla sezione culminante del libro: il racconto delle rivolte studentesche del 1968 con l’azione che sobbalza da un protagonista a un altro nel giro di pochi paragrafi. Se anche la ricostruzione non è fedele agli eventi reali e i motivi storici della rivolta sono completamente trascurati, Hill concentra qui il climax della storia. Da qui ha origine la corruzione e quella mancanza di valori che forgerà esperti di marketing editoriale, giudici votati agli interessi personali, studenti che non hanno la minima idea di che cosa tratti la protesta.

«Io garantisco calore. Dramma. La polizia vuole delle ragioni per schiacciare la sinistra radicale. Io fornisco queste ragioni. Dichiaro che abbiamo intenzione di rapire i delegati o di contaminare l’acqua potabile o di bombardare l’anfiteatro e questo ci fa sembrare dei terroristi. Il che è esattamente quello che vuole la polizia.»

«Così possono fare quello che hanno fatto stasera. Gassarci e picchiarci.»

«Davanti alle telecamere della tv, con la gente che a casa fa il tifo per loro. Sì.»

Faye scuote la testa. «Ma perché aiutarli? Perché incoraggiare tutto questo…» – gesticola con la mano per indicare i giovani sanguinanti che ora occupano il santuario – «tutta questa pazzia, questa violenza?»

«Perché più i poliziotti ci schiacciano» dice Sebastian «più noi sembriamo forti»

«Noi»

«Il movimento di protesta» dice lui. «Più i poliziotti ci picchiano, più i nostri argomenti sembrano buoni.»

(Nathan Hill, Il Nix, traduzione di Alberto Cristofori, Rizzoli, 2017, p. 685)

Un indizio interessante nel libro di Hill è il graduale scollamento tra una storia ben architettata e il modo di raccontarla. La letteratura americana vive un giro di boa in cui sono molto chiari i numi tutelari insieme a tutte le ansie da prestazione per raggiungerli. Ecco perché se qualcuno nella critica americana cita Wallace e Pynchon per Il Nix dovrebbe riconoscere la differenza tra loro e una copia o un esercizio stilistico. Solo per citare in modo non approfondito Infinite Jest, quel groviglio di storie, complotti e ansie tennistiche non soffre di ripetizioni o di personaggi accessori. Infinite Jest si estende nel tempo (e nello spazio) tacciando la realtà nel modo forbito, iperdefinito e straniante della parola di Wallace. Il Nix, invece, è composto da sezioni ripetitive e inutili per la narrazione (un esempio sono le incursioni alle manie igieniche del vicepresidente Hubert Humphrey mentre imperversa la protesta studentesca), di esercizi stilistici riusciti che vanno dal lungo periodare – durante il quale si transita da un personaggio a un altro – a un puro esercizio, quasi fosse fine a se stesso, come l’intero terzo capitolo della sezione Ricerca e ritrovamento composto interamente senza punti. Interessante, ma fine a se stesso. Il risultato finale, quindi, poteva essere snellito anche da interi personaggi che assumono contorni fin troppo retorici. In questi casi a fare la differenza è far alludere a una conclusione criptica che il lettore ricava con la conseguenza di essere l’unico a farlo e riconoscendo la natura polimorfica del libro. Qui, invece, Laura Postdam dice espressamente di non voler studiare un classico inglese come Amleto perché lo trova inutile e si affida con ingenuità esasperata a un social network.

Nonostante l’impegno nello stile e la storia accattivante, Il Nix è un lavoro immaturo che si arena nelle spiagge manieriste e fin troppo retoriche della conclusione.

nathan hill-il nixTitolo: Il Nix

Autore: Nathan Hill

Traduzione: Alberto Cristofori

Editore: Rizzoli

Anno: 2017

Pagine: 768

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0 commenti

  1. Insomma lo leggo si o no? Li spendo sti soldi e cosa più importante, perdo il mio tempo ?

    1. Io direi di no, magari lo si può prendere in biblioteca. Vale la pena recuperarsi Wallace e Pynchon piuttosto

    1. Sì una delusione che si rivela verso la fine, purtroppo.

  2. Di Wallace ho letto tutto e di Pynchon devo ritentare V. ma ho letto L’arcobaleno della gravitá e mi sono esaltata… Proveró in biblioteca, grazie

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