Ci sono punti all’interno de Il medico della nave e 8 in cui Amy Fusselman salta il corso naturale dei pensieri fino a raggiungere mete molto lontane tra loro. È il collage di riflessioni a caratterizzare i due memoir rendendoli agli occhi del lettore composizioni plastiche e malleabili, poco soggette alla sequenzialità temporale. Proprio il tempo e lo spazio diventano due tacite dimensioni che si aggirano tra i ricordi di un padre appena scomparso e del suo diario della seconda guerra mondiale nel Medico della nave; mentre in 8 la figura del genitore si fa più importante insieme alle terribili reminiscenze di un pedofilo. I due libri sono stati uniti in un’unica pubblicazione anche in italiano – così come ha fatto McSweeney’s in lingua originale – da edizioni Black Coffee con la traduzione di Leonardo Taiuti.
La presa di coscienza della presenza dei corpi, della loro estrema precarietà inseriti nello spazio indifferente, della loro vita autonoma se eliminati dall’interiorità. La “forma nuova” di cui parla l’autrice attraverso la quale il padre si manifesterà non è altro che il ricordo, la memoria raccontata dai diari e il suo allontanamento dalla realtà sensoriale. Il vuoto occupato da un corpo crea un senso di estraneità: il corpo c’è, esiste, eppure non corrisponde a chi lo abitava. Da qui seguono alcuni momenti in cui la realtà si sfalda e si disallinea completamente dal corpo: alla bellezza che si presenta come un ospite indesiderato proprio nei momenti più tristi della malattia del padre si unisce il lungo processo della fecondazione assistita, il tempo sconosciuto di essere corpo (mortale) e potenziale madre (immortale) insieme.
Sto morendo. Eppure non ci credo. Perché? Come? Come si fa a dimenticarsi una cosa del genere? E non solo una volta, ma in ogni momento, in ogni nuovo istante, come se non sapessi dove sto andando, come se fossi un topo che attraversa il campo diretto al suo buco nel terreno. Come se qualcos’altro, qualsiasi altra cosa, fosse possibile.
(Amy Fusselman, Il medico della nave, traduzione di Leonardo Taiuti, edizioni Black Coffee, 2017, pp. 63-64)
Così la numerazione di ogni frammento di memoria diventa 1, una singolarità del tempo che esula dalle regole della storia lineare di un libro. La causa e l’effetto nella scrittura della Fusselman non sono azione e reazione ma il singolo pensiero, l’interiore ridotto all’osso, la libera atemporalità e la ricorsione delle idee.
Lasciato il dolore della perdita transitiamo a 8, un altro memoir simile al primo, ma composto circa sei anni dopo. In realtà, quando alla Fusselman fanno notare il legame tra i due lavori, lei ammette che dopo il libro dedicato al padre sapeva di doverne scrivere uno rivolto alla madre. Alla madre e all’essere madre, più precisamente, e a un adulto che diventa genitore. Qui le reminiscenze di un pedofilo quando era piccola si uniscono al meccanismo dimenticato con cui i bambini vedono il mondo. La bolla d’ingenuità, la campana ovattata di innocenza, esplodono all’improvviso e sono continuamente scosse dai bambini stessi, dalle loro incursioni nel mondo reale. Da qui l’elaborazione del trauma può avvenire grazie all’esperienza del graduale avvicinamento allo stupore e alla creatività infantile. La metafora dell’automa, riassunto di abnegazione e completa dedizione genitoriale, lascia spazio a un pregiudizio:
E dal momento che teoricamente il mondo degli adulti, dove esistono i problemi «reali», e quello dei bambini non si incontrano mai – ecco dove incredibilmente trasgredisce lo stupratore – ai bambini non è permesso essere intelligenti, forti e potenti in un contesto adulto, perché in fondo non crediamo che abbia nulla a che vedere con esso. Il che, a pensarci bene, è un atto di negazione bello e buono.
(Amy Fusselman, 8, traduzione di Leonardo Taiuti, edizioni Black Coffee, 2017, p. 174)
È il tempo che si fa «mappa» e traghetta chi scrive in una ripetizione terapeutica. «Siamo più figli del tempo che della nostra stessa madre» e questo lo si nota nel ripetersi delle modalità di apprendimento, nella confortevole routine, nella rivisitazione del pensiero in forma scritta. Da remare contro il tempo in una corsa senza speranza sopraggiunge un compromesso che non sa di sconfitta ma di peculiare recupero della propria vita.
La visione sorpresa del monster truck Grave Digger, le lezioni di moto e le sedute del tocco terapeutico raccontano una quotidianità che solo in un secondo momento, quasi come se fosse la rivisitazione dell’inconscio, diventano spunto di riflessione. Ancora una volta Amy Fusselman trova risposta nel tempo, ne è vittima ma lo amministra riuscendo a rielaborarlo pur mantenendone la casualità. Il libro procede tramite racconto e intervento a posteriori, delle incursioni estemporanee e metanarrative. Il punto di forza è una brevità che non ha bisogno di essere approfondita perché nel giro di poche parole è in grado di allargare lo sguardo al di fuori della pagina stampata. Due memoir che si estendono potenzialmente all’infinito e si aprono a nuove visioni a ogni lettura.
Titolo: Il medico della nave/8
Autore: Amy Fusselman
Traduzione: Leonardo Taiuti
Editore: edizioni Black Coffee
Anno: 2017
Pagine: 208
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[…] prima uscita, che spiegava bene l’intento editoriale. Non si escludono la forma ibrida di romanzo e non-fiction e le inclinazioni verso le voci femminili. Il 2018 darà però voce ad altri protagonisti della […]
[…] come prima uscita, che spiegava bene l’intento editoriale. Non si escludono la forma ibrida di romanzo e non-fiction e le inclinazioni verso le voci femminili. Il 2018 darà però voce ad altri protagonisti della […]
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