Che cosa fa grande un romanzo? E come cambia quando aggiungiamo “americano”?
Qualche anno fa il Time aveva risposto alla domanda legittimandola con una foto: quella di Jonathan Franzen.
E, sicuramente, Franzen è uno dei più adatti per aspirare a tale titolo. Tutto sta nel chiedersi cosa deve contenere il grande romanzo americano. Una definizione alla quale si può rispondere con facilità se guardiamo ai libri del passato, ma che rimane impossibile da determinare nella letteratura contemporanea. E qui si dovrebbe aprire una parentesi su cosa sia letteratura, ma mi concentrerei su un aspetto che ritengo fondamentale: l’immortalare, il racchiudere la complessità di un tempo. Intendo la capacità di oggetti e persone della finzione in grado di astrarsi per rimanere sospesi, come esemplari di una specie destinata all’estinzione per il naturale ricambio generazionale.

È una delle cose che, per esempio, in Libertà mi aveva affascinato: un gioco di coppie complementari, tra i genitori che hanno deluso i propri ideali e i figli, eroi inconsapevoli, perché in grado di risolvere gli errori dei precedenti.
Un gioco di sensi di colpa, rimedi e responsabilità ritratto e marcato anche in Purity.
La giovane Purity (Pip) Tyler potrebbe essere una donna fantastica: carina, ingenua, dall’umorismo tagliente. Peccato per l’autostima ferma sotto i piedi che le fa osservare la realtà senza filtri e senza malizia. Ha alle spalle un debito studentesco di 130.000 dollari e condivide l’appartamento con Dreyfuss, coinquilino geniale ma inquietante, con un uomo di cui si è infatuata e con la moglie di lui.
Pip sa poco della vita in generale a causa della madre iperprotettiva che non le svela neanche il giorno del suo compleanno o la sua vera storia. Alla ricerca di verità, come quella di scoprire chi è suo padre, la ragazza accetta uno stage al Sunlight Project, una sorta di Wikileaks, guidata da Andreas Wolf. Uomo affascinante, preceduto dalla fama, cresciuto nella Germania dell’Est e ossessionato dalla ricerca di verità. E poi ci sono Tom e Leila, due giornalisti alle prese con il caso di un missile nucleare falso comparso nelle foto di un utente su Facebook.
Tutti personaggi che si incontreranno durante l’opera e che saranno inquadrati, a loro volta, da altrettante storie. La scrittura di Franzen ha questa marca particolare, in Purity meno ironica, per cui il risultato della creazione dei personaggi è un affresco completo che va dalle origini fino al presente di cui si sta raccontando. Digressioni che, se in un primo momento possono sembrare prolisse, risultano azzeccate per rispondere alle domande scettiche del lettore.
Ci sarà, quindi, la storia di Andreas, cresciuto nei privilegi, figlio di un funzionario dello stato e di una madre che gli nasconde l’instabilità mentale. Una figura genitoriale che, ricordandoci Patty in Libertà, vuole proporsi come nuovo modello femminile ed educativo ma che alimenta una relazione morbosa madre-figlio, equivoca e piena di menzogne. E, ancora una volta, la figura materna fallisce completamente generando un periodo particolare nell’adolescenza del figlio:
Si sentiva piuttosto confuso, perché aveva le prove che anche sua madre voleva fare cose sporche, e che in effetti le aveva fatte, e questa avrebbe dovuto indicare che anche altre femmine volevano farle, e farle con lui; ma lui chissà perché aveva la sensazione opposta. Era come se amasse tanto sua madre, anche in quel momento, da sottrarle ogni caratteristica inquietante per impiantarla mentalmente in altre femmine, in modo da renderle spaventose, da fargli preferire la masturbazione e permettere a sua madre di rimanere perfetta.
(Jonathan Franzen, Purity, traduzione di Silvia Pareschi, Einaudi, 2016, p.136)
Neanche Anabel, la madre di Pip, facilita le cose. È la dimostrazione che tra genitori e figli il patto di dare e ricevere amore è insufficiente senza che entri in gioco l’autenticità. Potremmo continuare a parlare delle donne di Purity perché occupano spazi importanti: sono madri o aspiranti tali, per le quali i figli non sono naturale punto di arrivo ma un collante da usare per la coppia, come se, meccanicamente, a un’età avanzata ci fosse un imperativo imprescindibile. Sono donne forti, hanno nomi diversi ma si moltiplicano e si ripetono tra le pagine di Purity e il risultato è un girare intorno a persone tra loro fondamentalmente uguali e vagamente isteriche.
La tendenza al vittimismo, che era stata persino comica per Patty, è così esasperata da diventare incomprensibile. «Dissolvere il mio ego in quello di Anabel» dirà uno dei protagonisti e, in effetti, l’annullamento di una qualsiasi spiegazione razionale diventa l’unica strada possibile. Qualcosa di simile accade anche ai personaggi maschili, intrappolati in labirinti freudiani, in masturbazioni reiterate, in sedute di sesso irrazionale, alla ricerca di un’uscita che non li conduca verso il destino dei propri genitori. Andreas, tormentato dalla masturbazione compulsiva dell’adolescenza, che disegna i volti di donne bellissime e che, da adulto, dovrà controllare la personalità latente dell’Assassino, un doppio che medita di uccidere chiunque non incontri le sue aspettative, sessuali o meno.

Lo stesso sentimento che gli fa desiderare la purificazione lo spinge a fondare un’organizzazione che, grazie a Internet, diffonda verità, notizie e documenti segreti. È uno dei più adatti a riconoscere le potenzialità di Internet e paragonarle con il passato.
Prima di smettere di rilasciare interviste, l’autunno precedente, aveva cominciato a usare la parola totalitario. Gli intervistatori più giovani, per i quali la parola significava sorveglianza assoluta, controllo mentale assoluto […], avevano pensato che stesse dicendo qualcosa di ingiusto su Internet. Ciò che aveva in mente in realtà era solo un sistema da cui era impossibile uscire. La vecchia Repubblica si era senz’altro distinta per sorveglianza e parate, ma l’essenza del suo totalitarismo era più quotidiana e sottile.
Potevi collaborare con il sistema o potevi osteggiarlo, ma l’unica cosa che non potevi fare, […] era rimanergli estraneo. […]
Sostituendo socialismo con network si otteneva internet, un sistema fatto di piattaforme rivali accomunate dall’ambizione di definire ogni aspetto dell’esistenza.
(Jonathan Franzen, Purity, traduzione di Silvia Pareschi, Einaudi, 2016, p. 306)
Lo stato di controllo totale messo in atto dai regimi totalitari era una pressione esterna e costante, volta ad ammaestrare e reprimere. Il totalitarismo di Internet è più esteso e complesso: è totalizzante per l’individuo che non può farne a meno, è qualcosa a cui si dedica volontariamente. Totalitarismo nato e autoalimentato dalla comunità creata dalla rete. Più simile all’estensione di parte del corpo e alla dipendenza che conferisce un potere particolare: la conoscenza intesa nella sua accezione più relativa. Che sia conoscenza di video con gatti o segreti di stato, nessuna invenzione umana è stata così radicata in un ideale astratto.
Conoscenza è fama, due concetti che, come tutto il resto sul web, sono solo la superficie. «La personalità privata è ridotta a una generalità pubblica» e genera piccole maree di fama incontrollata che conferisce potere a chiunque. I giornalisti dovrebbero essere l’ultimo baluardo rimasto alla generalizzazione incontrollata.
La conoscenza così intesa diventa incomunicabilità, lo saprà bene Andreas, che in Bolivia costruisce una società perfetta fatta di genialità e bella presenza. Peccato per le pagine riservate al Sunlight Project che non restituiscono niente di nuovo all’immaginario dei quartieri generali delle grandi aziende informatiche.
Purity ha sicuramente il merito di riassumere una realtà liquida e incomprensibile fin quando non ci sarà abbastanza tempo per metabolizzarla: l’avvento dell’informazione senza limiti, la dissociazione tra personalità social e privata, la semplice ricerca della verità nell’era di Internet. E, soprattutto, se il cambiamento è impossibile, come appariva per Patty e Walter dopo aver sperimentato la libertà, la purezza è una possibilità che solo il futuro potrà decidere.
L’ultima opera di Franzen è disgregata, frammentaria, petulante in molte parti, persino irritante e incoerente in alcune, come se tutto il lavoro di tracciare contorni netti paragrafo per paragrafo, sfumasse in scene di sesso buttate lì a caso, o si risolvesse nel tergiversare di alcuni personaggi che non arrivano mai al punto.
Se Libertà era la perfetta melodia americana a tratti stonata, ma potenzialmente immortale, Purity punta, mette a fuoco, immortala ma non centra quello che il lavoro precedente aveva garantito.
Autore: Jonathan Franzen
Traduzione: Silvia Pareschi
Editore: Einaudi
Anno: 2016
Pagine: 656
Prezzo (cartaceo): € 22
Prezzo (ebook): € 9,99
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[…] di purezza – se volessimo parlare una lingua simile a quello che suggeriva Franzen con Purity – oppure inaugurava una ricerca di eroi interiori – come quella intrapresa da qualche […]
[…] qualunquista e complottista contro le nuove tecnologie. Ci ha provato Franzen nel suo Purity dando un accenno fin troppo ingenuo a Internet come “sistema di piattaforme rivali accomunate […]