Sfido chiunque a individuare l’origine del male. L’istintualità è parte di un sentimento così immediato che si palesa immediatamente in gesti, parole, valvole di sfogo che marchiano l’interiorità. Perché di questo si tratta in qualsiasi disputa sentimentale (che riguardi gli altri o noi stessi): esternare la violenza di un sentimento, un egoistico flusso di coscienza. Ponendo così la questione verrebbe da pensare che il male è così manifesto da far credere di saperlo distinguere, dipingendo così un mondo chiaroscurale e leggibile. C’è un unico dubbio che attanaglia chi costruisce una retta via: la scoperta dei grigi in un mondo che era solo in bianco e nero. La scoperta di semi sedimentati che subiscono una mutazione se alimentati esclusivamente dall’unica realtà a disposizione.
Qual è la gestazione di un embrione sentimentale? E, soprattutto, se è cresciuto conoscendo solo una parte del male, qual è la giustizia che può punirlo?
Questo è l’enorme dubbio tematico che sottostà a La dimensione oscura di Nona Fernàndez (traduzione di Carlo Alberto Montalto, Gran Vía edizioni). La ricostruzione di un periodo magmatico come quello della dittatura cilena, passa per l’immagine dell’Uomo delle Torture, un agente dei servizi segreti che confessa le zone oscure che prima potevano essere considerate solo finzione.
Quando ero bambina mi dicevano che, se mi comportavo male, un vecchio con un grosso sacco mi avrebbe portata via. Tutti i bambini che non obbedivano ai genitori sparivano nell’immenso e oscuro sacco di quel vecchio. Malvagio. Oltre a non spaventarmi, questa storia mi ha sempre incuriosita. In segreto volevo conoscere quell’uomo, aprire il suo sacco, entrarci, vedere i bambini scomparsi e raggiungere il cuore del suo mistero oscuro. Molte volte l’ho immaginato. Gli ho affibbiato un volto, un abito, un paio di scarpe. E ogni volta che lo facevo la sua figura diventava sempre più inquietante, dato che normalmente gli assegnavo un volo conosciuto, quello di mio padre, di mio zio, del droghiere all’angolo, del meccanico dell’officina accanto, del professore di scienze naturali. Tutti potevano essere il vecchio del sacco. Perfino io stessa, se mi guardavo allo specchio e mi disegnavo un paio di baffi, potevo ricoprire quel ruolo.
(Nona Fernàndez, La dimensione oscura, traduzione Carlo Alberto Montalto, Gran Vía edizioni, 2018, p.24)
L’indagine di Nona Fernàndez crea una vera e propria mappa del male: Area di accesso, Area di contatto, Area fantasmi e Area di evasione sono tappe non tanto del ricordo quanto di uno sforzo immaginativo tale da diventare reportage e racconto privo di forzature ideologiche. «L’immaginazione è la chiave per aprire la porta al di là della quale si trova questa dimensione». In questo caso oltre che apprezzare l’abilità stilistica e narrativa della Fernàndez, c’è bisogno di notare come un procedimento estraneo – l’utilizzo delle parole, delle visioni e delle azioni del male – passi per la stessa strada di quello del bene. Le immagini proposte da foto, ricordi, visite a musei della memoria si sovrappongono alla confessione dell’Uomo delle Torture in una continua eco di rimandi che sarebbe stata scarna senza la vividezza della scrittura a tratti poetica (come negli intermezzi in versi che chiamano in causa la voce dell’assassino). La narrativa si spoglia di ogni velleità d’intrattenimento per diventare l’azione più tollerante ed empatica di chi conosce la differenza tra bene e male. E conosce ancora meglio la facilità con cui si può superare il confine.
Il ricordo degli abusi passati si mescola a quelli attuali e per un breve istante non si rassegna all’inerzia di ciò che il museo custodisce. Le urla delle due donne ridestano la memoria, la mettono in contatto con il presente, la esumano dalla tomba, le infondono un soffio di vita, resuscitando una creatura fatta di schegge, parti di corpi diversi, frammenti di ieri e di oggi. Il mostro si risveglia e si palesa ululando incontrollabile, cogliendo tutti di sorpresa, sconvolgendo la calma di molti, creando disagio, disappunto, fastidio, ed è proprio quest’aria di pericolo e agitazione che dovremmo sempre respirare. È ciò che ho pensato dopo aver saputo dell’episodio da un articolo su internet, e così la penso tuttora ogni volta che torno a visitare il museo.
(Nona Fernàndez, La dimensione oscura, traduzione Carlo Alberto Montalto, Gran Vía edizioni, 2018, p. 35)
Il romanzo della Fernàndez ricostruisce la missione originaria delle storie: una narrazione del reale, la Storia vera e propria, che viene tramandata dalla registrazione orale e poi trasformata in eredità scritta. La parola viene coinvolta in una mutazione che a ogni livello non aggiunge complessità ma arricchisce lo spazio dialettico tra gli interlocutori. Se avessimo ascoltato la singola voce dell’Uomo delle Torture non avremmo esitato a condannarlo. Ne La dimensione oscura, invece, il rischio di un procedimento retorico altamente demagogico e dell’immobilità superficiale vengono scongiurati da una semplice accortezza: il costante monito e il ricordo di una memoria storica che si rischia di dimenticare.