Ci sono alcune storie che meritano l’etichetta di racconto breve. A crearla non è una brevità fisica, in termini di parole e spazio del testo, ma una costruzione che negli intenti dell’autore delimita, nei casi fortunati, una folgorazione improvvisa. Qualcosa è già stato o accade rapidamente, ad essere centro dell’azione sono poche parti che circoscrivono i personaggi come caratteristi completi in grado di trascendere un unico racconto e restare indimenticabili.
Nel caso di Martin il romanziere L’orma editore porta in Italia alcuni racconti, tradotti da Carlo Mazza Galanti, che rispettano le regole non scritte dello stupore immaginifico. Si tratta di sei racconti, provenienti da alcune raccolte edite in Francia da Gallimard, i cui protagonisti sono coinvolti in paradossi fantasiosi con il peso sovrastante della realtà. L’abilità di Aymé si dipana rispettivamente verso una realtà il cui vero significato è messo alla prova, forzato da avvenimenti al di fuori del normale, e verso un’immaginazione versatile e mai ripetitiva.
Così in La grazia, leggiamo dell’indole incorruttibile di un uomo che si sveglia con un’aureola e cerca di sbarazzarsene dedicandosi ai sette peccati capitali; penseremo al peso del tempo in senso letterale come ne La carta del tempo in cui i fannulloni vengono privati dei giorni di vita perché altrimenti sprecati; Martin il romanziere dovrà confrontarsi con i suoi personaggi che si ribellano nella vita reale perché tutti destinati a una morte certa nei suoi libri.
Un tratto narrativo costante è lo sviluppo semplice e lineare delle storie, poco caratterizzato da accorgimenti stilistici e orientato a normalizzare una situazione al limite del possibile. Se ne ricava una lezione, non moralmente bacchettona, ma sincera. Le trovate fantastiche innescano una reazione a catena che turba l’ordine quotidiano solo fino a un certo punto: dopo l’ammissione del paradosso subentra la vera curiosità di viverne le conseguenze.
Gli sviluppi della trama sono solo un piccolo spunto per trattare il soggetto d’interesse di Aymé: la natura umana in tutta la sua debolezza. Sono le donne, per esempio, a vivere un amore libertino, a essere schiave di pulsioni sensuali, libere dalle inibizioni, che fanno da contraltare alla durezza dell’animo maschile. In Le Sabine una donna asseconda un amore diverso da quello del marito e inizia a moltiplicare se stessa per vivere una miriade di storie; in Ricaduta una giovane donna sperimenta la caparbietà del primo amore, minacciato da una legge che vuole istituire l’anno di ventiquattro mesi e che dimezza l’età della popolazione. Se prendiamo come esempio gli inizi dei due racconti scopriamo che gli incipit di Aymé spiazzano proprio perché alla fine potremmo tracciare un arco che conduce a una conclusione lontana e completamente diversa dall’inizio:
Bertrand d’Alleaume mi ha baciata dietro la porta dello studiolo. Con la mano sinistra mi ha sfiorato la guancia scostando un ciuffo di capelli e io ho chiuso gli occhi. Ho avuto l’impressione di staccarmi da terra. Mi sono sentita del tutto sollevata e liberata, compiuta, come se i miei turbamenti di ragazza e di bambina, i lunghi anni di implorazioni segrete, risentimenti, tristezze ardenti, curiosità sornione fossero infine sfociati in quella grande felicità.
(da Ricaduta, Marcel Aymé, Martin il romanziere, traduzione di Carlo Mazza Galanti, L’orma editore, 2016)
C’era a Montmartre, in rue de l’Abreuvoir, una giovane donna di nome Sabine la quale possedeva il dono dell’ubiquità. Poteva moltiplicarsi a suo piacimento e trovarsi allo stesso tempo, anima e corpo, ovunque desiderasse. Essendo lei sposata, e poiché un dono tanto raro non poteva che preoccupare suo marito, si era ben guardata dal rivelarglielo, utilizzandolo soltanto all’interno del loro appartamento quando restava sola.
(da Le Sabine, Marcel Aymé, Martin il romanziere, traduzione di Carlo Mazza Galanti, L’orma editore, 2016)
Da qui si nota come Marcel Aymé si sia mosso da sempre nel terreno agevole dei racconti brevi. Conosciuto tra gli scaffali italiani per le storie per ragazzi, Aymé deve una fama anche legata alla vita di narratore di culto tra romanzi, racconti, testi teatrali e un’identità controversa: avulso ai riconoscimenti istituzionali – come quando rifiutò la Legion d’onore e l’Académie française – e lontano dal fasto culturale di Montmartre, amico di Celine e contributore a manifesti e riviste di destra senza mai realmente sostenerne le idee. La bellezza della narrativa è però trascendere dall’identità dell’autore e parlare solo attraverso la parola scritta. Ed è così che L’orma editore fa una scelta analoga a quella di Cliquot con Emilio Salgari: riscopre il talento composito di uno scrittore in una versione inedita per i lettori italiani.
Titolo: Martin il romanziere
Autore: Marcel Aymé
Traduzione e cura: Carlo Mazza Galanti
Editore: L’orma
Anno: 2016
Pagine: 216
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