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Le camere infestate della mente umana

1233HILL_HOUSEAutore: Shirley Jackson

Editore: Adelphi

Anno: 2013

Traduzione: Monica Pareschi

Pagine: 233

Prezzo (cartaceo): € 16

Prezzo (ebook): € 8,99

Eleonor Vance ha passato parte della sua vita a prendersi cura della madre, ormai defunta quando la giovane arriva a Hill House; Theodora è una ragazza egocentrica e sfacciata e con lei l’amicizia tra donne è più un rapporto di convenienza; Luke è un giovane a cui non basta avere una sfilza di beni da ereditare se non è arricchita con piccoli furti.

Tre persone così lontane psicologicamente condivideranno la paura per Hill House, casa abbarbicata tra le colline e chiusa nel buio, dove il professore Montague ha deciso di studiare fenomeni paranormali per una pubblicazione scientifica.

Vengono in mente film come La Casa (1981), Amityville Horror (1979), The Shining (1980), che si fondano su una paura primigenia e irrazionale declinata tutt’oggi dall’intrattenimento in modi diversi.

La storia della dimora infestata da oscure presenze porta alle origini della letteratura gotica, a partire dal romanzo fondante, Il castello di Otranto di Horace Walpole, per poi proseguire con Il monaco (1796) di Matthew Gregory Lewis, Dracula (1897) di Bram Stoker, opere in cui l’esasperazione dell’ambientazione, quella del castello, è presenza indispensabile per la narrazione come se anche le volte ogivali e gli angoli sghembi, potessero suggerire che il lume umano è spento dall’irrazionalità del terrore.

Lo stretto rapporto tra architettura e vicende narrate è tale da svilupparsi nel tempo arrivando agli autori che dalla metà del XIX secolo riprendono suggestioni passate per applicarle al loro presente.

In una giornata triste, buia e troppo silenziosa, con un cielo di nuvole basse e pesanti, dopo aver cavalcato da solo per un tratto di campagna particolarmente desolato, verso sera, mentre le ombre si facevano sempre più lunghe, mi trovai di fronte alla malinconica casa di Usher.

Non so perché, bastò uno sguardo di sfuggita alla vecchia dimora, per darmi un senso di insopportabile depressione. […]

Guardavo la scena che si presentava ai miei occhi, guardavo quella casa e le nude strutture della proprietà, le mura lugubri segnate dagli sguardi vuoti delle finestre, i sedili, i tronchi bianchi degli alberi morti. Guardavo, con quell’oppressione totale dell’anima, paragonabile soltanto al risveglio dei piaceri dell’oppio, verso l’amaro intervallo della normalità quotidiana: il tragico cadere del velo.

(E.A.Poe, La caduta della casa di Usher, Racconti del terrore, traduzione di Isabella Donfrancesco e Daniela Palladini, Newton Compton, p. 35, 2013)

Così Poe inizia La caduta della casa di Usher, racconto della decadenza secolare di una famiglia, della follia del suo ultimo rappresentante vivente che sembra rispecchiare il paesaggio che lo circonda.

L’avversione insensata e spontanea che si manifesta al primo sguardo contagerà anche alcuni racconti di Lovecraft come La casa evitata (l’esorcizzazione di un’abitazione da una muffa maligna) oppure, più simile a Poe, L’immagine della casa, racconto dove inizierà a delineare la geografia fittizia dei suoi lavori, nominando per la prima volta il fiume Miskatonic e la città di Arkham:

Mi ritrovai così su una strada che, a giudicare dall’aspetto, doveva essere abbandonata, e che avevo scelto in quanto era la migliore scorciatoia per Arkham. E fu lì che venni sorpreso dal temporale in un tratto distante da qualsiasi cittadina, e privo di qualunque riparo ad eccezione di quell’antica e repellente costruzione di legno che occhieggiava verso di me con le finestre velate tra due olmi giganteschi spogli del fogliame, ai piedi di un’altura rocciosa.

(H.P. Lovecraft, L’immagine della casa, La tomba e altri racconti dell’incubo, traduzione di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco, Newton Compton, p. 109, 2012)

Per quanto avevo già letto, ritenevo difficile che Shirley Jackson potesse stupire con un romanzo horror ambientato nell’ennesima casa misteriosa.

D’altronde anche al suo arrivo Eleonor fa un po’ quello che avevano già fatto i personaggi di Poe e Lovecraft: sente la casa ripugnante e ostile:

La casa era abominevole. Rabbrividì e pensò, mentre le parole si affacciavano libere alla sua mente, Hill House è abominevole, è infetta: vattene subito di qui.

(L’incubo di Hill House, p. 36)

In realtà a questo punto del libro avevo avuto occasione di ricredermi grazie a uno degli incipit più belli mai letti, tutto orientato a rendere il lettore un inquilino della casa, insieme ai protagonisti, e alimentare le sue suggestioni.

Più che la casa in sé, Hill House si rivela un incubo per lo scavo psicologico di chi si trova ad abitarla. L’atmosfera morbosa tra Eleonor e Theodora, tra Eleonor e il resto della compagnia, amplificherà gli effetti orrorifici della vicenda.

Eleonor non ha mai conosciuto l’infanzia, non ha mai avuto una vita propria e Hill House è la prima ad accoglierla nel suo ventre consumando dall’interno la sua mente già debole.

Erich Hartmann, USA. New York City. 1940s. Shirley JACKSON
Erich Hartmann, USA. New York City. 1940s. Shirley JACKSON

In realtà la casa non farà niente per attentare all’incolumità dei coinquilini: a parte qualche evento isolato come i colpi sulle porte o le scritte misteriose, rimangono le storie del professore e le dicerie dl paese, veri catalizzatori di paura. È un po’ come quando si guarda lo Shining di Kubrick e, nella maggior parte delle scene, si ha il costante terrore che stia per accadere qualcosa di sconosciuto.

In fondo è di questo che si tratta anche per L’incubo di Hill House: se qualche microcosmo malefico dimora in essa, riverbera alla perfezione nella mente di Eleonor che, a questo punto, diventa l’assoluta protagonista.

Il salto dall’attenzione sugli oggetti e i luoghi all’attenzione sulla mente umana è una notevole conquista per l’horror contemporaneo e soprattutto per il gotico americano moderno, che vede in prima fila proprio la Jackson. Un orrore rinnovato che piace proprio perché si avvicina alla psiche contemporanea.

Non c’entrano il sangue o la minaccia di morte ma bastano allusioni al baratro insondabile dell’intelletto umano, quello che in Eleonor alimenterà la paranoia, per dividere i lettori tra chi preferisce una spiegazione razionale degli eventi (i protagonisti si sono lasciati suggestionare eccessivamente) e chi attribuisce a Eleonor la “colpa” di essere una facile preda per le forze oscure che dominano la casa.

Il finale, nonostante tutto, resta aperto, come nei migliori film horror.

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0 commenti

  1. straordinaria scrittrice. La lotteria e Abbiamo sempre vissuto nel castello mi fecero un male cane quando li lessi. e li ho riletti più volte e li amo.

    1. Ancora non ho letto Abbiamo sempre vissuto nel castello e invidio chiunque l’abbia fatto 🙂
      Ho letto che insieme all’incubo di Hill House è uno dei migliori.

  2. […] L’incubo di Hill House: maestra di Stephen King, maestra dell’horror. Ho divorato L’incubo di Hill House e ho imparato che gli orrori vengono prima da noi, dalle gabbie immaginarie che, quando non possono più entrare nella nostra mente, si manifestano all’esterno. Vi ho parlato di mostri o fantasmi? Assolutamente no, siete voi che scegliete che cosa vedere. […]

  3. […] Jackson, L’incubo di Hill House, traduzione di  Monica Pareschi, Adelphi, […]

  4. […] le priorità del bene e del male; sto pensando alle capacità esoteriche dell’incipit de L’incubo di Hill House; ricordo le ultime battute de Il ritratto ovale di Poe che fanno lo stesso rumore di una campana […]

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