Editore: Mondadori
Anno: 2002
Traduzione: Giuseppe Strazzeri
Pagine: 369
Prezzo: € 11
Ironia, rabbia, sfacciataggine verso il mondo. Ecco le parole che userei se mi chiedessero di descrivere brevemente L’opera struggente di un formidabile genio di Dave Eggers.
Potrei scrivere che si tratta dello sfogo terapeutico possibile attraverso la scrittura, o dell’esibizionismo di un esordiente. Tutto vero e non necessariamente nella sua accezione negativa.
Questi sono i tre punti che, per me, fondano un’opera completa.
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Morte
Il segreto inconoscibile dell’oblio eterno è una moneta a due facce che contiene il suo contrario e, per questo, è un tema che sempre ossessionerà l’essere umano. Strano come dalla morte possa prendere vita qualcosa. In questo caso un’opera.
La morte dei genitori di Eggers, a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro, è l’avvenimento da cui scaturisce tutto. La potenza dell’opera sta proprio nella sua componente autobiografica. Le visioni dell’uomo e degli individui sottoposti a un periodo di continui presagi di morte, traggono evocatività dal fatto di essere realmente accadute. Se non ci fosse stato il sostrato reale e tangibile probabilmente avremmo letto un’opera molto diversa o, addirittura, non avremmo letto assolutamente niente, perché non sarebbe mai esistita.
Al di là della scelta dell’autore di riportare nomi, luoghi, numeri di telefono realmente esistenti (a parte quello che è stato adattato appositamente per la finzione), c’è la morte del vecchio e la nascita del nuovo Eggers.
Nella prefazione lui parla di un “indurimento emotivo”. La scomparsa dei genitori, esseri imperfetti perché umani (la madre fedele cattolica, il padre alcolista), ma pur sempre genitori, che hanno guidato una parte della vita di Dave, Beth, Bill e Topher, comporta la perdita di alcune delle coordinate fondamentali della vita di figli. Subentrano due stravolgimenti: un senso di mobilità permanente e di solipsismo.
La mobilità non è solo fisica – con Dave e Toph che si trasferiscono prima da Lake Forest a Berkeley, poi da Berkeley a San Francisco e poi probabilmente a New York – ma è anche emotiva. Dave Eggers riesce ad avvicinare l’autodistruzione all’autocontrollo: la paura della morte, la paranoia (come quando immagina le molestie sadomaso del baby-sitter di Toph) restano non dette, celate, ma sono incredibilmente insistenti. I flussi di coscienza che si protraggono per alcune pagine arrivano al paradosso e pericolosamente vicino alla follia, alla distruzione del sé.
Ma noi! Noi sì che abbiamo un aspetto fantastico! Abbiamo uno stile, confuso e sbracato ma terribilmente intrigante per quanto è singolare. Noi siamo il nuovo e tutto il resto è vecchio. Siamo noi gli eletti, ovviamente, le api regine dei loro fuchi – mentre gli altri presenti a questa festa scolastica sono vecchi, andati da un pezzo, tristi, senza speranza. Gente rugosa, che non ha più rapporti sessuali occasionali, in cui invece io sono il massimo. Hanno chiuso con certe cose; persino pensarli mentre fanno sesso è una cosa priva di ogni attrattiva. È gente che non è più in grado di correre senza sembrare ridicola, che non è in grado di allenare una squadra di calcio giovanile senza gettare discredito su se stessi e lo sport. Gente finita. Cadaveri ambulanti.
A controbilanciare c’è un senso di superiorità. Non essersi “persi” senza le guide che tutti danno per scontato, è motivo di superbia che innalza Dave e Toph su un piedistallo, contro le ipocrisie del resto dell’umanità (continua al punto 2).
Dave non è poi tanto diverso dalla canonica figura genitoriale, anche se non potrà mai sostituirla. Si preoccupa per il presente e il futuro di Toph, si preoccupa di farlo crescere secondo una sua morale.
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Lasciare traccia di sé
The Real World è stato uno dei primi reality show ad avere successo su MTV. Trasmesso per la prima volta nel 1992 e ancora in corso, il programma ha lo scopo di riprendere le vite di alcuni sconosciuti che vivono insieme per alcuni mesi (capite l’originalità del Grande Fratello, format olandese datato 1999). Ogni stagione si svolge in una città diversa.
Nel 1994 questa città era San Francisco e ai provini si presenta anche Dave Eggers. Non indignatevi, Eggers non venne preso, ma ci tiene a confessarci la verità, tutta la verità, in uno dei dialoghi più belli del libro, uno dei tanti dove l’interlocutore esce dal personaggio e si trasforma nella voce della coscienza.
Queste cose, i dettagli, le storie e quant’altro, sono come la pelle di cui i serpenti si spogliano, lasciandola a chiunque da guardare. Che cosa gliene frega al serpente di dov’è la sua pelle, di chi la vede? La lascia lì dove ha fatto la muta. Ore, giorni o mesi dopo, noi troviamo la pelle e scopriamo qualcosa del serpente, quant’era grosso, quanto era lungo approssimativamente, ma ben poco altro.[…]
E tu saresti il serpente?
Certo. Io sono il serpente. E dunque, il serpente dovrebbe portare la pelle con sé, tenersela sempre sotto braccio? Dovrebbe farlo?
No?
No, certo che no! Non ha braccia, un serpente! Come cazzo fa a portarsi in giro la pelle? Per favore. Ma proprio come il serpente, io non ho braccia – metaforicamente parlando, voglio dire – per portare con me tutto quanto. E poi non sono più cose mie. Nessuna è mia.
La pelle, i ricordi, le vicende autobiografiche lasciano traccia nei lettori che trovano e probabilmente il nome Dave Eggers lo ricorderemo anche tra anni e anni. Ma prima di esaudire il desiderio intimo di ogni scrittore, Eggers tentò di portare la sua storia in televisione. Un modo, dirà nei ringraziamenti, per liberarsi del passato, diventare famoso grazie al suo dolore ammettendo di manipolarlo, eventualmente, anche a scopo di lucro.
Insomma, ancora una volta, un espediente per rimanere eternamente in vita e beffare la morte.
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Rabbia
Legata al primo punto, la rabbia è uno dei sentimenti all’origine

della scrittura dell’opera e di tante altre cose (come la rivista Might – creata da Eggers a San Francisco e poi chiusa quando si trasferì a New York).
Il lutto non è fatto per essere compatito, è usato per essere tragicamente diverso dagli altri, sempre al centro dell’attenzione. Dave cannibalizza il mondo con la rabbia per quanto gli è stato tolto, perché quello che gli è accaduto è così “bizzarramente terribile” da farlo sentire perennemente osservato, come se l’avesse investito di uno scopo di grande importanza.
È inconsciamente alla ricerca continua di caos, ne è dipendente (relazioni sessuali a destra e a manca, serate alcoliche), sempre lì a fare la morale, come l’occhio altezzoso che rivolge al suo amico John, alcolizzato e con manie suicide.
L’opera struggente di un formidabile genio è il racconto crudo della pochezza umana davanti alla morte, ed è la reazione uguale e contraria e ironica di chi l’ha conosciuta troppo presto e che non si arrende alla vitalità della gioventù.
Un romanzo che vale tutti gli aggettivi con cui è stato intitolato.
[…] un lavoro potente ma autobiografico come L’opera struggente di un formidabile genio, Eggers con La fame che abbiamo, Conoscerete la nostra velocità e Erano solo ragazzi in cammino. […]
[…] L’opera Struggente di un formidabile genio: Dave Eggers, cotta e rivelazione del mio 2015. L’opera di esordio, autobiografica, è così potente da vantarsi di esserlo, nata dalla consapevolezza di lasciare un solco nelle vite altrui. […]
[…] Eggers, L’opera struggente di un formidabile genio, traduzione di Giuseppe Strazzeri, Mondadori, […]
[…] impazzito di scrittura e personaggi che non hanno sempre i risultati sperati. Pensiamo all’Opera struggente di un formidabile genio (traduzione di Giuseppe Strazzeri, Mondadori, 2002) e al fascino incredibile per […]
[…] il percorso che da promettente erede e valido sfidante del postmoderno (qualcuno ha detto L’opera struggente di un formidabile genio?) l’abbia portato a disattendere le aspettative. Lo si vedeva già in Conoscerete la nostra […]