Edizione: Einaudi
Anno: 2006
Pagine: 1281
Una premessa doverosa
Spesso mi sono trovata a pensare a come avrei iniziato questa recensione. Mentre leggevo le prime pagine, mi venivano in mente degli “attacchi” accettabili, degli incipit “a effetto”, che ho anche appuntato, ma con il passare del tempo la fine del libro mi sembrava sempre più lontana. Ho interrotto la lettura di Infinite Jest durante il periodo degli esami, in cui per tutto il giorno ci si riempie la testa di parole e il solo guardare un altro libro dà la sensazione che la testa possa avere un cortocircuito, aprirsi e riversare il surplus di parole.
È solo una stupida giustificazione, mi dicevo, e, dopo un diverbio con la mia coscienza, mi sono decisa a proseguire la lettura. Faccio così solo quando un libro non mi piace. Il fatto è che quello che leggevo mi piaceva, ma era uno strano piacere. Era come incontrare un amico che non vedevo da tempo, parlarci un po’, rendersi conto che con la lontananza non si ha più niente in comune, ma l’incontro ha fatto piacere in ogni caso. Direi un piacere pieno di disagio.
Si parla tanto del piacere di leggere e spesso si cade nella trappola dell’idealizzazione. Così quando ci si trova davanti ai classici o libri che stanno diventando classici si hanno due scelte: trattarli come tutti gli altri con il rischio di commenti che peccano di superbia e ignoranza; oppure trattarli con cautela riconoscendone l’importanza. Aggiungete che la scelta cambia se un libro è piaciuto o no.

Non saprei dove collocare Infinite Jest. Questo, sono sicura, è stato provocato dalla suggestione per le tante cose che ho letto sull’autore e le sue opere. Ma è dovuto anche a una questione di orgoglio: ho incontrato il mio primo libro impegnativo e ora sono ancora con la coda tra le gambe.
È come quando si aspetta da tanto l’uscita di un film al cinema: si fa una scorpacciata di notizie, interviste, pubblicità tanto da alimentare le aspettative e sapere più di quanto il film voglia dire o mostrare.
Dovrei continuare a seguire la mia regola: Prendo e leggo un libro senza nessuna interferenza esterna. Così, a scatola chiusa.
Se questa è una lezione che ho imparato, ora mi sento di parlarvi di Infinite Jest dalla mia prospettiva che, mi sono resa conto, è una prospettiva molto piccola e modesta e si limiterà ad annotare quegli elementi che mi hanno colpito. Sono consapevole che tralascerò molte delle cose di cui si deve parlare quando si parla di DFW, ma questa è più una verifica personale, sulla mia identità di lettrice, aggiungendo qua e là dei consigli per chi voglia iniziare a leggerlo.
Infinite Jest mi ha accompagnato tutte le mattine in pullman e tutte le sere nel letto. Leggere 5, se riuscivo, 10 pagine al giorno era diventato fisiologico. All’inizio potremmo sentirci spaesati, complice la mole del libro e anche le miriadi di storie che vi sono contenute. Soltanto dopo molte pagine Wallace inizierà a chiudere i cerchi delle varie trame.
I tanti personaggi non si muovono tutti verso un’unica conclusione ma sono a loro volta protagonisti di altre storie. Wallace slega i suoi personaggi dall’ordine causale degli eventi per conferirgli la naturalità della casualità. Ecco perché la mole del libro: non lo vedo come un’opera unica, piuttosto la diretta conseguenza di un narratore che si è abbandonato alle miriadi di storie che gli sono venute in mente e ha deciso di seguirle fino alla fine.
Immagino la faccia dell’editor quando Wallace gli ha presentato il manoscritto. A tal proposito ho ritrovato la lettera dell’editor Michael Pietsch, dove confessa di essere entusiasta di collaborare con l’autore per pubblicare l’opera e, dopo una seconda lettura, si augura che esista un modo per accorciare il romanzo not because any one piece of it isn’t wonderful, ma perché ha il timore che la lunghezza possa far sì che le persone trovino una scusa per non leggerlo.
L’universo di Infinite Jest
Sin dalle prime parole ci immergiamo immediatamente nel mondo di Infinite Jest. L’incipit (con quell’incomprensibile dicitura “Anno di Glad”) è costruito appositamente per catapultarci sul palcoscenico insieme a uno dei personaggi.
Ancora spaesati apprenderemo, mano a mano, di trovarci in un futuro imprecisato dove le aziende, nella loro ossessiva ricerca di soluzioni pubblicitarie, hanno trovato il modo di dare il nome dei prodotti agli anni e così abbiamo:
- Anno del Whopper
- Anno dei Cerotti Medicati Tucks
- Anno della Saponetta Dove in Formato Prova
- Anno del Pollo Perdue Wonderchicken
- Anno della Lavastoviglie Silenziosa Maytag
- Anno dell’Upgrade per Motherboard-Per-Cartuccia-Visore-A-Risoluzione-Mimetica-Facile-Da-Installare Per Sistemi TP Infernatron/InterLace Per Casa, Ufficio, O Mobile Yushityu 2007 (sic)
- Anno dei Prodotti Caseari dal Cuore dell’America
- Anno del Pannolone per Adulti Depend
- Anno di Glad

È bene tenere a mente questa ripartizione per poter collocare cronologicamente gli eventi, anche se la maggior parte della storia si svolge nell’Anno del Pannolone per Adulti Depend.
Gli Stati Uniti hanno esteso il loro dominio verso il Canada e il Messico, prendendo il nome di O.N.A.N. (Organization of North American Nations) (vi viene in mente qualcosa?). A causa delle manie igieniste del presidente Gentle, ex cantante di Las Vegas, tutti i rifiuti sono stati scaricati nella Grande Concavità, terra annessa al Quebec. Non a caso la bandiera dell’O.N.A.N. raffigura un’aquila con in testa un cappello messicano, una foglia d’acero e una scopa.
A ribellarsi contro gli Stati Uniti e chiedere l’indipendenza del Quebec sono gli AFR (Assassins en Fauteuils Roulants) che, come dice l’acronimo stesso, sono spietati assassini su sedie a rotelle. Questo gruppo estremista e separatista è alla ricerca di una pellicola chiamata Intrattenimento, che provoca una dipendenza mortale a chiunque inizi a guardarla, per usarla come arma terroristica contro l’O.N.A.N..
La trama non finisce qui perché questa è solo la cornice delle vicende che ruotano attorno a due strutture: l’Eta (Enfield Tennis Academy), l’accademia di tennis e l’Ennet House, casa di recupero per tossicodipendenti. Mi è capitato di confonderle. La dedizione dei giovani tennisti mi è sembrata mostruosa, perché dettata da una sorta di regime dispotico autoimposto, ossessionati dalle classifiche, cresciuti sin da piccoli con un’educazione alla disciplina. Non esiste parità nel tennis, si può soltanto vincere o perdere.
Fin quando però Hal Incandenza, l’eroe tragico del romanzo, si ribella al sistema precostituito, a una vita che lui non ha scelto e da cui si allontanerà sempre più, completamente alienato da se stesso. Mano a mano che la narrazione proseguirà capiremo che Hal Incandenza e Don Gately sono i due protagonisti del romanzo (certo, insieme a loro emergeranno tanti altri personaggi indimenticabili come Joelle Van Dyne, Mario Incandenza, Mike Pemulis) e rappresentano, rispettivamente, il principio e la fine della dipendenza, entrambe altrettanto tristi e spietate.
Note sparse
Il fatto è che quella che può sembrare una dimensione straniante, per i personaggi è la normalità. L’accanimento della pubblicità, dell’intrattenimento televisivo e cinematografico, sono realtà consolidate ma, allo stesso tempo, anestetizzate dalla dipendenza, dall’abuso, dalla violenza.
È una Dipendenza, con la “D” maiuscola, perché la includerei tra i protagonisti dell’opera, presente nelle sue numerose sfumature: dipendenza affettiva, dipendenza dalla droga, dall’alcool, dalla televisione.
La condizione di asservimento alla Sostanza è così verosimile da contagiare lo stesso lettore, nel senso di indurlo a ridimensionare tutti i pregiudizi e le pre-comprensioni che si credono di avere nei confronti della tossicodipendenza.
Andrebbe fatta una precisazione sulle note che, da sole, possono comporre un altro libro da almeno 100 pagine. Salon ha proposto un articolo di Wendy Lesser (che potremmo tradurre letteralmente con La gioia della distruzione letteraria: scrittori che hanno infranto tutte le regole) critica letteraria ed editor che ha riportato esempi di scrittori che, con un nuovo stile, hanno rinnovato le regole della scrittura. Autori come Geoffrey Chaucer, Shakespeare e Miguel de Cervantes, rispecchiano la visione delineata dalla Lesser e rispondono a domande come “Cos’è un narratore e come si collega all’autore di un’opera? Come si può far convergere la realtà finzionale dei personaggi con la realtà dei lettori?”. Arrivando agli autori del XXI secolo, uno dei modi per far avvertire la loro presenza è la foot note, la nota a pié pagina, che rappresenta un’imitazione dello stile accademico e un commento autoironico.
Nel caso di Wallace non parlerei di autoironia, piuttosto d’intento di provocare un cortocircuito tra la realtà del romanzo e quella dei lettori. Le 388 note sono un compendio di droghe e malattie che ci faranno diventare ipocondriaci.
Eppure gli unici giudici siamo noi, l’autore si limita a riportare, a volte con tragica ironia, gli eventi e le sensazioni e lascia a noi trarre le conclusioni. A nostra volta saremo risucchiati nella spirale delle vite dei personaggi, succubi delle loro scelte, apparentemente forti e inevitabilmente fragili.
Oltre a dimostrazioni matematiche e tecnicismi di ogni sorta, che potranno apparirci oscuri (e non faranno altro che ricordarci la nostra piccolezza davanti a un lavoro del genere), bisogna fare l’abitudine con lo stile di Wallace in grado di spaziare dalla prima alla terza persona, con racconti di uomini e donne, sobri o strafatti, discorsi sgrammaticati di bambini, flussi di coscienza e tanto altro.
Perché e come leggerlo?
Leggetelo per mettervi alla prova. Soprattutto per chi ama la lettura questo è un libro che metterà a dura prova il vostro amore per la parola scritta. Non snervatevi se alcune frasi, alcune pagine richiederanno una seconda lettura, il libro non sta cercando di prendervi in giro, siete solo esseri umani.
Se ne uscite vincitori, la soddisfazione è assicurata unita alla consapevolezza di aver letto un classico contemporaneo.
I miei consigli:
- Leggerlo in ebook è faticoso, a meno che non abbiate un ereader che permetta di passare in maniera agevole dalla pagina che state leggendo alle note. Se ancora non siete convinti del passaggio all’inchiostro elettronico (come me), la lettura sull’ereader vi sembrerà ostica. Quando si legge un libro molto lungo, ammirare lo spessore delle pagine lette può aiutare ad andare avanti.
- Non bisogna stilare una tabella di marcia con le pagine da leggere ogni giorno, altrimenti la lettura non è più un piacere. Si dovrebbe piuttosto smettere quando non si ha più voglia di andare avanti, posare il libro, lasciarlo riposare e riprenderlo quando si è convinti di avere del tempo per immergersi completamente nel mondo di Infinite Jest.
- Leggerlo in luoghi dove si è sicuri di raggiungere una buona dose di concentrazione, se non si vuole rileggere dieci volte le stesse frasi.
- L’ideale sarebbe leggerlo a un ritmo costante, in modo da non dimenticare nomi o avvenimenti che possono aiutare a collegare le varie trame.
Link utili:
- Se avete difficoltà nel ricordare personaggi ed eventi che li legano consultate la mappa dei personaggi
- L’Archivio David Foster Wallace Italia rimane il sito italiano più utile e aggiornato per raccogliere notizie e curiosità sull’autore e le sue opere
- Per rinfrescarvi la memoria potete consultare la guida scena per scena di Infinite Jest
- The Howling Fantods per news e ricerche su David Foster Wallace
- Finzioni ha recentemente tradotto due poesie che D.F.Wallace ha scritto da bambino
- Nel 2014, negli Stati Uniti, dovrebbe uscire il biopic dal titolo The End of the Tour, diretto da James Ponsoldt. È basato sul libro intervista realizzato dal giornalista David Lipsky che, nel 1996, trascorse alcuni giorni con David Foster Wallace durante la promozione di Infinite Jest. Jason Segel dovrebbe interpretare DWF.
Vi lascio con Calamity Song dei The Decemberist, piacevole canzone che riassume Eschaton, il gioco descritto da Wallace nel libro.
Bella recensione, nella quale mi “rivedo” per le sensazioni provate nel corso della lettura. Quando lo lessi, non avevo ancora aperti il blog, scrissi qualcosa da pubblicare su “Anobii”, ma rileggendo oggi quella parole (che ho riportato anche sul mio blog) mi rendo conto di come, per “paura” di scrivere a mia volta un romanzo invece che una recensione, avessi volutamente affrettato e tagliato i miei pensieri.
Il mio inizio recitava così: “Respirare. Respirare. Respirare. A pieni polmoni. Passeggiare all’aria aperta e respirare. Ecco ciò che ho fatto appena finito di leggere “Infinite Jest”. Sì, perché la sensazione di meravigliosa e terribile apnea nella quale mi aveva immerso, mi rendeva necessario un respiro.
A prescindere dalla mitologia che inevitabilmente circonda sempre personaggi morti in età non avanzata, io considero David Foster Wallace un grandissimo.
Rinnovo i complimenti per la recensione. 🙂
Grazie! Era un bell’inizio quello della tua recensione, perché in effetti è la sensazione che prende dopo aver finito il libro. 🙂
Brava, bella recensione! In effetti ho sempre pensato che, nell’impossibilità di fare una vera “recensione” di IJ, i pezzi migliori siano quelli che si pongono come una sorta di diario di lettura, di racconto di sé e della propria esperienza a contatto col “mostro”, più che come una didascalica esposizione di pregi e caratteristiche del testo 🙂 Che poi è anche il modo migliore per accostarsi al testo, che in fondo è soprattutto una esperienza di analisi di sé…
Ma tu sei su Twitter?
Ma grazie! Temevo che tutto questo sproloquio risultasse banale (e anche confuso).
P.s.: sì, sono su twitter, mi chiamo @Brizia92
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