Case infestate in letteratura. Quelle case nel bosco è una rubrica, nelle settimane che precedono Halloween, dove si leggeranno romanzi e racconti a tema.
Son coeur est un luth suspendu;
Sitôt qu’on le touche il résonne.
Il suo cuore è un liuto sospeso;
Appena qualcuno lo tocca, suona.
DE BÉRANGER
In una giornata triste, buia e troppo silenziosa, con un cielo di nuvole basse e pesanti, dopo aver cavalcato da solo per un tratto di campagna particolarmente desolato, verso sera, mentre le ombre si facevano sempre più lunghe, mi trovai di fronte alla malinconica casa Usher.
Non so perché, bastò uno sguardo di sfuggita alla vecchia dimora, per darmi un senso di insopportabile depressione; insopportabile, perché questa mia sensazione non era addolcita dal fascino, quasi perverso, che hanno, perché poetiche, anche le più crude immagini di desolazione e terrore.
Guardavo la scena che si presentava ai miei occhi, guardavo quella casa e le nude strutture della proprietà, le mura lugubri segnate dagli sguardi vuoti delle finestre, i sedili, i tronchi bianchi degli alberi morti. Guardavo, con quell’oppressione totale dell’anima, paragonabile soltanto al risveglio dai piaceri dell’oppio, verso l’amaro intervallo della normalità quotidiana: il tragico cadere del velo. Era agghiacciante da far mancare il cuore, si era assaliti da un’irrimediabile tristezza che nessuno stimolo dell’immaginazione avrebbe più potuto sublimare. Mi chiedevo cosa fosse, cosa, in questa contemplazione della casa Usher mi indebolisse tanto. Era un insolubile mistero; né potevo combattere le fantasie che in questa riflessione, riempivano la mia testa. Ero costretto a limitarmi a una conclusione abbastanza insoddisfacente, cioè, che certamente esistono combinazioni di oggetti semplicissimi, naturali fino alla banalità, che hanno il potere di impressionarci, ma che, nello stesso tempo, tale potere resta per noi non analizzabile, superiore al potere della nostra mente.
Riflettei che un semplice cambiamento nei particolari della scena, negli elementi del quadro, sarebbe stato sufficiente a modificare o, forse annientare, l’incredibile forza di questa impressione tanto penosa; seguendo questa idea spinsi il cavallo fino al bordo scosceso di uno stagno nero e sinistro, che specchiava immobile la costruzione.
Guardai in basso nelle sue acque e vedendovi le immagini capovolte e deformate dei sedili grigi, dei tronchi incolori e di quelle finestre simili a occhi vuoti, provai un brivido ancora più forte.
Nonostante la sua aria tenebrosa, mi proponevo di soggiornare alcune settimane proprio lì, in quella dimora spettrale. Roderick Usher era stato un mio compagno di baldorie del tempo della giovinezza, anche se troppi anni erano passati dal nostro ultimo incontro; recentemente, una lettera mi aveva raggiunto in un luogo remoto del paese, una sua lettera talmente insistente che non mi aveva lasciato altra possibilità che quella di raggiungerlo immediatamente.
* * *
Per anni l’unico ricordo di Edgar Allan Poe fu l’amorevole necrologio di un certo Ludwig: «Edgar Allan Poe è morto. È morto a Baltimora lunedì, 7 settembre. Questa notizia sbigottirà molti ma addolorerà pochi. Il poeta era noto in tutto il paese, di persona o per reputazione. Aveva lettori in Inghilterra e in parecchie nazioni dell’Europa continentale, ma aveva pochissimi amici, per non dire nessuno». L’autore non era altro che Rufus Wilmost Grinswold, editore, critico e rivale di Poe, che s’incaricò dell’esecuzione testamentaria e che scrisse un memoriale dove, ancora una volta, l’unica immagine dello scrittore defunto era una storpiatura delle sue ultime vicissitudini. Poe aveva appena lasciato la sua nuova promessa sposa per alcuni impegni letterari a New York, ma venne ritrovato alcuni giorni dopo la partenza, a Baltimora, con vestiti non suoi e in stato confusionale. Morì pochi giorni dopo per complicazioni dovute all’alcool.
Oppiomane, alcolizzato e ingrato verso coloro che gli avevano permesso di affermarsi e di diventare un abile scrittore, questa fu l’immagine che per anni aleggiò nelle memorie americane, mentre qualcuno lo recuperava come Baudelaire e lo illustrava come Manet. In realtà Poe visse la sua vita lontano dall’agiatezza economica, continuamente sfruttato dai superiori delle riviste dove pubblicava, innamorato della sposa bambina, distrutto dalla precoce morte di lei e mai più stabile da quel momento, come scrisse in una lettera del 1848: «Io attraversai esattamente lo stesso dramma…La mia costituzione è sensibile, il mio nervosismo molto al di là del normale. Diventai pazzo, con lunghi intervalli di lucidità. Durante queste crisi di completa incoscienza bevevo, Dio solo sa quanto spesso e quanto. Ovviamente, i miei nemici fecero risalire la mia pazzia all’alcool, anziché l’alcool alla mia pazzia».
Ma l’opera di Poe era troppo imponente per non essere notata a distanza di tempo, per la varietà di forme e discipline che incluse, per il debito che i generi letterari (orrore, fantascienza, poliziesco) hanno con lui. Contrariamente a quanto si pensa, lo scrittore americano aveva una ferrea disciplina poetica e stilistica al fine di sfatare il mito di uno scrittore ubriaco d’ispirazione che divora avidamente il foglio con folgorazioni improvvise.
L’orrore di Poe è lento, metodico e dettagliato, caratterizzato da una gestione della prosa pensata dall’inizio fino alla fine, senza lasciare niente al caso.
Niente è più evidente del fatto che ogni intreccio degno del nome debba essere elaborato fino al suo dénouement prima ancora, si può dire, che si cominci a buttar giù qualcosa con la penna. […]
Quanto a me, preferisco invece iniziare pensando subito a un effetto. Tenendo sempre ben presente l’originalità – giacché tradisce se stesso chi s’arrischia a rinunciare a una fonte d’interesse così ovvia e così facilmente attingibile – io sto innanzitutto a chiedermi: «Fra gli innumerevoli effetti, o impressioni, cui è suscettibile il cuore, o l’intelletto, o (più in generale) l’animo umano, quale dovrò scegliere, nel mio caso presente?» E avendone scelto uno che sia, in primo luogo, nuovo e, inoltre, ben vivace, passo a considerare se esso possa essere meglio sviluppato mediante episodi in azione o mediante un tono complessivo – e se per mezzo di ordinari episodi e di un particolare tono, o, piuttosto, mediante la singolarità degli episodi e, insieme, del tono – cercando poi intorno a me (o meglio dentro di me) quelle combinazioni di episodi e di tono che meglio potranno essermi d’aiuto nella costruzione dell’effetto.
(Edgar Allan Poe, Filosofia della composizione in E.A.Poe. Tutti i racconti e le poesia e «Gordon Pym», traduzioni di D. Palladini, I. Donfrancesco, N. Rosati Bizzotto, P. Newton Compton, 2011)

Un inizio sbalorditivo, uno svolgimento originale e un andamento narrativo coerente, sono le calibrature che Poe applicava ai racconti e alle poesie (in Filosofia della composizione spiega per filo e per segno come ha composto il Corvo). I racconti e non i romanzi erano i componimenti che con la loro brevità favorivano la lettura in “una sola seduta” e che, quindi, dovevano risultare assolutamente sbalorditivi.
I racconti di Poe iniziano come ricordi, voci narranti impegnate in indagini o semplici spettatori di eventi misteriosi, poi procedono attraverso descrizioni puntigliose di sensazioni e inquietudini. Si tratta di presentazioni e sviluppi che hanno spesso a che fare con le teorie del tempo, come il mesmerismo (Rivelazione mesmerica, La verità sulle vicende del signor Valdemar), l’ipnosi, il magnetismo, per arrivare a toccare la sfera umana con perversioni (Il barile di Amontillado), ossessioni (Il cuore rivelatore, Il gatto nero); altre volte con avventure come Lo scarabeo d’oro, l’incubo del mare in Una discesa nel Maelström, le indagini de I delitti della Rue Morgue – l’atto di nascita del giallo che vide tra i suoi debitori lo stesso Arthur Conan Doyle.
Concentrandoci su La caduta della casa Usher notiamo che l’immagine della casa infestata, originata dall’idea primordiale del castello dal quale nacque letteratura horror, è reinventata in favore di una nuova lettura. È un racconto che s’impone sul lettore attraverso immagini, come quella della casa che provoca echi di terrore in chi la guarda: c’è qualcosa di sinistramente sbagliato tra la tenuta dell’edificio, possente e resistente, e la putrefazione circostante. Un crescendo di suggestione che viene banalmente ridotto a superstizione dal visitatore, inconsciamente collegato alla distruzione dal lettore.
La casa e chi la abita sembrano un unico organismo, infestato da una famiglia secolare e incancrenito da spore e malattie. Il nome collettivo di Casa Usher lega la dimora e i proprietari in un rapporto osmotico che è anche comune maledizione, alla quale la natura risponde con l’inghiottire indiscriminato.
L’opinione, nel suo assunto generale, accreditava la teoria della capacità del mondo vegetale di sentire. Ma nella sua disordinata mente, questa idea si era fatta ancora più audace allargandosi fino a includere il regno inorganico. Non mi bastano le parole per esprimere la dimensione, ο il sincero abbandono alla sua convinzione.
Questa fede assoluta, come ho già accennato, era connessa alle grigie pietre della casa dei suoi antenati. Egli immaginava che qui le condizioni di questa sensitività erano state poste in essere fin nel metodo di collocazione di queste pietre, nell’ordine con cui erano state disposte, nell’intrico di fungi che le ricoprivano ο in quegli alberi morti che circondavano la casa, ma soprattutto nella lunga indisturbata resistenza di questa sistemazione e del suo doppio, che si realizzava nel riflesso con cupe acque dello stagno.
(Egar Allan Poe, La caduta della casa Usher in E.A.Poe. Tutti i racconti e le poesia e «Gordon Pym», traduzioni di D. Palladini, I. Donfrancesco, N. Rosati Bizzotto, P. Newton Compton, 2011)
I confini immaginifici e stilistici del Bello per Poe includono sempre tragicità e terrore ed è per questo che gli improvvisati salotti poetici, letterari e artistici di Roderick e del suo ospite si tramutano in una cantilena maledetta, scandita dalla morte della sorella di Usher fino all’improvviso finale.
L’orrore primordiale di Poe consiste nel far provare, prima che vedere, sensazioni altrimenti incomprensibili durante la lettura, caricando le frasi di sintomi, impressioni, allucinazioni spesso più importanti degli avvenimenti stessi. La caduta della casa Usher è uno dei tanti racconti che segue con successo le direttive di Poe, ma di questa pianificazione, della rigidità che si pensa di avvertire dopo aver letto il saggio sulla composizione, non c’è traccia se il risultato finale è la sorpresa. Una casa infestata della tradizione e, allo stesso tempo, non convenzionale se si pensa che è la storia dei suoi abitanti a maledirla.
Tutte le citazioni sono tratte da:
E.A.Poe E.A.Poe. Tutti i racconti e le poesia e «Gordon Pym»
Traduzione: D. Palladini, I. Donfrancesco, N. Rosati Bizzotto
Editore: Newton Compton
Anno: 2011
Pagine: 988
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La citazione del necrologio è presa da un post di Tommaso Pincio: Eredità di Edgar Allan Poe
[…] a comporsi di sguardi ostili e maledizioni intrinseche che contagiano proprietari e muri, l’architettura dell’orrore ha la particolarità […]
[…] più!” ne Il corvo o al battito del Cuore rivelatore. Risultati che Poe ha ricondotto a una rigidità di composizione che poco si addice alla realtà di un genio oltre l’immaginabile. L’ispirazione doveva venire […]
[…] terrore, come già detto, si nutre di immagini. Quelle di Salgari hanno poco a che vedere col mistero e il misticismo che […]
[…] della conoscenza oscura. La logica interiore di Poe gli faceva perseguire la bellezza attraverso un equilibrio incredibile delle atmosfere nelle sue […]