Per favore, resta colpito da me.
Nel 1996 David Lipsky, per la prima volta, stringeva la mano a David Foster Wallace che stava concludendo il tour di presentazione di Infinite Jest. Rolling Stone voleva un profilo dettagliato sulla stella letteraria del momento, così Lipsky venne inviato per passare cinque giorni con l’autore. Cinque giorni che non dimenticò, soprattutto perché il pezzo su Wallace non uscì mai. Solo dopo la morte, quindici anni dopo, il reporter si convinse a rispolverare le registrazioni.
Quando chi per mestiere scrive incontra un altro che fa la stessa cosa, ma con maggior successo, possono accadere almeno tre cose: il confronto diretto e la conseguente stima reciproca; il confronto e la sconfitta dell’orgoglio di uno dei due; semplice indifferenza.

Come diventare se stessi non è solo la trascrizione di un’intervista, ma è un caso particolare di romanzo: vivo perché sappiamo essere reale – dando piena fiducia all’autore – metaletterario e, a suo modo, avvincente.
David Lipsky, all’età di trent’anni ha tra le sue conquiste un romanzo, una raccolta di racconti e la tanto agognata stabilità economica lavorando come reporter. Ma quando incontra Wallace, e spesso durante l’intervista, la deontologia professionale va a farsi benedire in favore della visione di un fan: il ritratto di un idolo.
Quando al mio tono emotivo, ho delle convinzioni molto ferme a riguardo: mi piace pensare che sia ruvidamente complesso, penetrante, comprensivo e profondamente individuale.
(David Lipsky, Come diventare se stessi, traduzione di Martina Testa, Minimum fax, 2011, p. 8)
La chiacchierata on the road tra fast food, cinema e presentazioni in libreria, è come un flusso di coscienza con domande e risposte. Un fiume in piena, dove si confondono tagli e interventi dell’autore, perché era l’unico modo per allontanarsi dall’ondata di immagini-icona di Wallace. David Lipsky cerca di conferire uno sguardo più autentico all’autore travalicando i confini dell’intervista di argomento letterario e lasciandosi andare a discorsi sul cinema, l’intrattenimento, le dipendenze, le reciproche esperienze di vita.
Dev’essere stato strano combattere tra la voglia di scrivere, per dare giustizia alla personalità dello scrittore, e alimentare quel meccanismo che lo stesso Wallace guardava con diffidenza. C’è una metamorfosi essenziale che spesso individuo nelle lettura di Wallace che fa continuamente oscillare tra la magniloquenza della sua scrittura e il suo essere scrittore. Un punto di contatto che raggiungo ritrovandomi in un’impasse tra l’interno Wallace e l’esterno lettori. In una parola: intrattenimento. Lo si può notare soprattutto nelle splendide opere di non-fiction dove lo scopo non è retorica spicciola, nonostante Wallace fosse un oratore abilissimo, ma una ricostruzione minuziosa, fatta di dettagli e di una ricerca molto più personale di quanto sembri.
Per 360 minuti al giorno, noi riceviamo una conferma inconscia alla profonda tesi che la più significativa qualità delle persone è la guardabilità, e che l’autentico valore dell’uomo non è soltanto identico al fenomeno del guardare, ma vi è radicato dentro. E oltre a ciò ci formiamo l’idea che la quintessenza della vera guardabilità sia apparire inconsapevoli del fatto che si venga guardati; sta nel cercare di essere spontanei.
(David Foster Wallace, Tennis, tv, trigonometria, tornado (e altre cose divertenti che non farò mai più, traduzione di Vincenzo Ostuni, Christian Raimo, Martina Testa, Minimum fax, 2011)
Esatto, una delle paure di Wallace era la fama che fa perdere il contatto con il terreno, anestetizza lo scrittore contemporaneo e lo riduce a una macchietta capace solo di crogiolarsi nell’autocompiacimento. È una delle insidie dell’intrattenimento, un impulso inevitabile per l’americano medio desideroso di abbandonarsi a qualcosa.
Appare chiaro che, dopo le prime battute, Wallace si sforzi continuamente di definire una sua immagine, contraddicendosi più volte e, allo stesso tempo, dimostrando di avere solide convinzioni. Una di queste è un’idea di letteratura, la più semplice: la letteratura d’avanguardia ha il pregio di cogliere l’essenza della vita stessa, che non rispetta la linearità ma si abbandona ad avvenimenti casuali del tutto sconnessi tra loro, una «luce stroboscopica» che ci bombarda di input. Essere in grado di coglierli e raccontarli è ciò che fa dire ai lettori: «Allora una sensibilità come la mia esiste» e alleviare la loro solitudine.
Come ho detto, un romanzo particolare, perché non mancano i protagonisti – e gli antagonisti. Anche se Lipsky è un’entità il più possibile trasparente, nei suoi brevi interventi diventa un fratello maggiore, quasi il più saggio dei due, fino a rivelarsi un attento osservatore (il corsivo è di Lipsky):
Qui c’è ancora qualcosa di fondamentalmente falso nel tuo approccio. Almeno in una certa misura. Ossia: secondo me continui a sentirti più intelligente delle altre persone. E ti comporti come uno…ti comporti come uno che ha trentuno o trentadue anni, ma che sta giocando a softball coi bambini e cerca di trattenere la potenza con cui colpisce la palla, di controllare la forza della battuta, più o meno.
Intendi nel libro?
No. Intendo come ti poni nei rapporti sociali. E sei uno che si sta veramente sforzando…
Guarda che sei tosto, tu.
Tu ci tieni proprio, a questo trattenerti…c’è un punto, c’è una dinamica abbastanza palese per cui in qualche modo, con delicatezza, tu metti un freno a quella che ti rendi conto essere la tua intelligenza, per stare con persone che sono più giovani, o…
Be’, questo farebbe di me un coglione in piena regola, no?
(David Lipsky, Come diventare se stessi, traduzione di Martina Testa, Minimum fax, 2011, p. 314)
Mentre in David percepiamo un’ansia costante, una fame che non si accontenta di quello che ha ma divora l’individuo dall’interno chiedendo sempre di più, in Lipsky riconosciamo la maturità di chi vive a pieno la vita che si è meritato.
Anche se non avete letto Infinite Jest, ma avete incontrato Wallace in altre occasioni, Come diventare se stessi è una chiacchierata spensierata, reale e autentica, che, grazie all’abilità di Lipsky, chiarisce verità, molte delle quali profetiche, altre profonde e dolorose, su una delle voci più originali della letteratura americana.
Autore: David Lipsky
Editore: Minimum fax
Traduzione: Martina Testa
Anno: 2011
Pagine: 443
Prezzo (cartaceo): € 18,50
Prezzo (ebook): € 11,99
Acquista su Amazon:
P.S.: la mia recensione di The End of the Tour, pellicola basata sul libro, in uscita in questi giorni.