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David Foster Wallace era uno spione e lo sapeva fare bene

Lungi dal rispondere alla domanda da un milione di dollari su “che cos’è un classico” a David Foster Wallace interessava studiare com’era cambiato il modo di narrare nella letteratura americana dopo la comparsa della televisione.

Da un lato, una generazione di scrittori americani guardoni, dall’altro un esercito di letterati delle generazioni precedenti pronti a recensire i loro libri e «stabilire i programmi delle scuole superiori». Per non parlare della loro ossessione per le lettere maiuscole di Classico e Letteratura, come a elevare due parole a definizione di “opere senza tempo dal momento della loro creazione”.

All’improvviso la generazione di autori che non aveva conosciuto un mondo senza il segnale elettrico, si era ritrovata con un potente mezzo che faceva tutto il lavoro: osservare le vicende umane senza essere osservati.

Certo si sapeva già l’inganno: il piacere voyeuristico del guardare nascondeva la consapevolezza di essere guardati di chi si trovava dall’altra parte della telecamera. E tutto si riduceva in un guardare non più uno schermo, ma uno specchio: la televisione dava, senza chiedere, un piacere gratuito che mostrava quello che le persone desideravano. Diventava un prolungamento dei sensi umani, senza però arrivare a previsioni catastrofiche di media che agivano su menti passive e inerti.

In fondo la televisione americana era stata nei primi anni dopo la sua nascita lo specchio perfetto del mondo: nella prima golden age tra gli anni ’40 e ’50, i teledrammi in diretta ebbero un grande successo ritraendo personaggi alle prese con situazioni quotidiane.

Con la diffusione del mezzo televisivo a strati di popolazione meno abbienti e l’arrivo della censura da parte degli sponsor, i teledrammi andarono alla deriva. Spopolavano i quiz televisivi, fino allo scandalo negli anni ’60: i giochi a premi erano pilotati in modo che i concorrenti diventassero veri e proprio personaggi.

L’anno in cui l’America aveva scoperto di non potersi fidare neanche del proprio presidente, arrivarono i talk show che inglobarono quanto fino a quel momento era stata un’arma contro l’ipocrisia e la falsità: l’ironia.

Ma Wallace non se la prende né con il medium né con l’Audience. Nessuno dei due è responsabile della qualità, perché le persone tendono ad essere «molto simili nei loro stupidi interessi» e molto diverse in quelli più raffinati e intelligenti.

Ormai negli anni Novanta, la televisione si era smarcata da ogni responsabilità:

Le mie due grandi premesse sono che, da un lato, è recentemente venuto alla luce un certo sottogenere della narrativa postmoderna con riferimenti consapevoli alla cultura pop: libri scritti perlopiù da giovani americani, che hanno compiuto un reale tentativo di trasfigurare un mondo fatto di e per le apparenze, la seduzione delle masse e la televisione; e che, dall’altro, la cultura televisiva si è in un certo senso evoluta a un livello tale da sembrare invulnerabile a qualsiasi minaccia di trasfigurazione. In altre parole, la televisione è diventata capace di inglobare e neutralizzare ogni tentativo di cambiamento o anche di denuncia degli atteggiamenti di passività e di cinismo che la televisione stessa richiede dal Pubblico per poter essere commercialmente e psicologicamente efficace in dosi di parecchie ore al giorno.

Così l’includere riferimenti pop, ritenuti “bassi” proprio perché ripresi da un mezzo omogeneizzante, era considerata una moda generata da altra moda.

Prima di creare l’Intrattenimento di Infinite Jest, un film che provoca piacere fisico, oltre che mentale, così radicale da portare alla morte, Wallace si era introdotto tra lo schermo e gli spettatori plasmando lo spazio indefinito tra loro e rendendolo tridimensionale.

Ne La ragazza dai capelli strani c’è un Lyndon Johnson fragile, visto per la prima volta oltre la maschera d’austerità, equivocamente premuroso con il suo assistente; c’è Piccoli animali senza espressione dove entriamo nella regia di un quiz televisivo e nella vita della sua star; infine in La mia apparizione c’è un’incursione squisitamente aderente nella realtà del David Letterman Show, e qui si raggiunge il paradosso con la costruzione di un personaggio reale (David Letterman) che mette in dubbio l’autenticità di uno fittizio.

Per smuovere individui incantati dalle stesse immagini della ruota della fortuna per sei ore al giorno – il tempo che gli americani passavano davanti alla tv –, l’unica soluzione rimasta è la narrativa d’immagine, fatta di personaggi reali inseriti nell’immaginario della pop culture, ma anche di soggetti irraggiungibili che diventano familiari agli occhi del lettore da sempre spettatore abituato a fermarsi alle apparenze. Un cortocircuito: il piacere voyeuristico del leggere e dell’essere consapevoli di stare seguendo pur sempre personaggi di una nuova narrazione costruita su una precedente, non sappiamo se più vera o meno della prima.

Se penso che La ragazza dai capelli strani si “riduce” a Wallace che prende al volo l’eredità lasciata dai postmodernisti come DeLillo e Pychon? Assolutamente no. È anche una dichiarazione d’intenti: partire da temi a lui cari come tutte le ore di silenzio e solitudine dei guardoni e riempirle con una scrittura impegnativa non solo per l’autore ma anche per il lettore. L’alternanza di stili, con interruzioni, flashback, articoli di giornale, diventa quasi ossessiva e logorroica ma è utile a fornire più elementi possibili.

Insomma, dovremmo essere come Lenny Tagus di Dire mai, che confessa di aver tradito la moglie, pienamente consapevole del disastro, ma desideroso di verità. Leggere Wallace è anche una ricerca di verità, non quella universalmente riconosciuta semmai ce ne sia una, ma la verità oltre il pregiudizio verso quella ragazza che sta osservando spaventata una bambina dai capelli strani.

Riempire di dettagli un mondo che è fatto per guardare in superficie: è questo che probabilmente mi mancherà più di Wallace.

coverAutore: David Foster Wallace

Editore: Minimum fax

Anno: 2011

Traduzione: Martina Testa

Pagine: 300

Prezzo (cartaceo): € 12,50

Prezzo (ebook): € 9,99

P.S.:

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5 commenti

  1. Wallace, una volta che lo leggi crea dipendenza.

    1. Il bello è che devo capire ancora perché! 😀

  2. […] Un personaggio scottante come Nixon che rivela il suo lato più umano (e questo mi ha fatto pensare al presidente Johnson così come ritratto da Wallace). […]

  3. […] Jest, Il re pallido; racconti tratti dalle raccolte Brevi interviste con uomini schifosi, La ragazza dai capelli strani, Oblio; saggi tratti da Considera l’aragosta, Di carne e di nulla, Il tennis come […]

  4. […] formalismi. Le preoccupazioni di David Foster Wallace per una televisione in grado di inglobare le spinte a lei opposte oggi ci appaiono anacronistiche, perché i confini di ogni ambito del vivere si scontrano con la […]

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