Uno dei poteri della narrativa è sottrarre dall’anonimato dettagli quotidiani: abitudini, ore vuote, parti insignificanti e scontate che fanno di quella eco soggettiva la norma, un niente di speciale. Francesco è un quarantenne che lavora in un supermercato, conta i soldi, ha screzi col capo, ha una ragazza occasionale e si stordisce con l’hashish che lo getta in stati di apatia e socialità inesistente (a parte quella edulcorata dei social network). È la storia che Cristò racconta in Restiamo così quando ve ne andate pubblicato da TerraRossa Edizioni.
Persino nella semplicità della trama, nella mediocrità e nel pregiudizio che potremmo attribuire a uno sfigato, il romanzo di Cristò è quello che intendo per narrativa in grado di scovare nella banalità indiscriminata una particolarità così esemplare da avvicinarsi pericolosamente ad assioma nella realtà.
Sin dalla ripartizione dei capitoli – 4 sezioni che raccontano dieci giorni, dieci anni, dieci ore e dieci mesi – il romanzo diventa dimostrazione di un intento ben preciso: cercare l’incastro tra lo stile da adottare e il ritmo che la storia richiede. Un lavoro particolarmente riuscito per Cristò che in questo modo conferisce dinamismo a un testo che rischiava di arenarsi nella cronaca di fatti. Persino nella monotonia quasi psichedelica delle abitudini di Francesco individuiamo piccoli indizi, incrinazioni, cambiamenti impercettibili con l’aiuto di una dimensione surreale: l’alienazione sociale si amplifica al punto da costruire realtà alternative, nuove stanze della solitudine e del panico. Il fantasmatico “pensiero pomeridiano” è un esempio adatto per comprendere lo stato di assuefazione e continuo sguardo al passato che incastra Francesco nell’eterno ritorno.
Il pensiero pomeridiano arriva camminando, passo passo.
Parte la mattina presto per arrivare il pomeriggio. Mette il primo piede sul terreno e mi sveglia alle otto. Il secondo passo mi fa girare su un fianco e mi spalanca gli occhi perché fa caldo e perché fa male.
Il pensiero pomeridiano all’inizio è una sensazione di fastidio: una specie di consapevolezza minore, quella leggera vertigine di essersi appena svegliati; il passaggio immediato dall’ottimismo istintivo del cervello per la resurrezione quotidiana, per non essersi spento per sempre neanche stanotte, al ritorno nella vita in cui non esistono soluzioni semplici, Donatello è in coma, la casa è senza corrente elettrica, devo procurarmi un certificato medico per il lavoro, le stanze continuano a urlare il proprio nome nella mia testa, la mia esistenza è immobile e io non sento di esserne il narratore.
(Cristò, Restiamo così quando ve ne andate, TerraRossa Edizioni, 2018, p. 99)
La vicenda del protagonista è un cantico in prosa della modernità: delusione delle aspettative, sogni di vita infranti, aspirazioni prosciugate da un’inedia sociale e di interessi, disillusione dilagante. Qui si inserisce un importante spiraglio che sta nel ritratto tragicomico – ma serissimo nelle sue conseguenze – di una generazione che ha perso le coordinate e rischia di contagiare il futuro. Francesco convive con il prosciugamento delle possibilità e l’incapacità di coglierle. È però esperto della percezione social con una personalità duale: ha bisogno della solitudine ma vuole sentirsi protagonista e un contatto in differita fa al caso suo, perché comporta il minimo investimento sentimentale. Fino ad adottare meccanismi interni di deresponsabilizzazione: si sente protagonista di una di una storia che non ha creato e questo lo pone in un atteggiamento passivo verso qualsiasi aspettativa che potrebbe avere dalla vita («Vorrei essere il personaggio di un romanzo, vorrei davvero che ci fosse un narratore; qualcuno che lo sapeva da prima, dall’inizio, che sarebbe successo. Qualcuno che me l’ha tenuto nascosto; anche se avrebbe voluto dirlo subito»). Unico appiglio è un’ennesima speranza: creare la Creatura, una composizione musicale perfetta che gli permetta di compiere il destino tanto atteso.
L’impalcatura della storia non avrebbe potuto reggere senza uno stile rigoroso che sa passare dal racconto in prima persona a un crescendo di descrizioni ossessivo compulsive in grado di seguire all’eccesso lo sviluppo del pensiero. Ed è la corrispondenza tra la musicalità della prosa di Cristò e la disciplina melodica di Francesco nella storia che il ritmo del romanzo e quello della vicenda si sovrappongono creando un caso molto raro d’incedere narrativo: lavora nella finzione e nella realtà del lettore producendo un vero e proprio sbalzo temporale. Il tempo della lettura si sovrappone a quello della pagina, e viceversa.
E non è questa, come dicevo, la missione della narrativa? Una combinazione di solitudini, una creazione multidimensionale condivisa e gelosamente conservata da tutti.
Titolo: Restiamo così quando ve ne andate
Autore: Cristò
Editore: TerraRossa
Anno: 2018
Pagine: 242
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Una recensione precisa, brava. E se hai fatto tu la foto a inizio articolo, ti dico anche bravissima!
Grazie! Sì la foto l’ho fatta io (mi rendo conto che ho un problema con lo sbrinare il freezer)
[…] varietà di stile, racconta le idiosincrasie di una stessa generazione. Cristò, per esempio, in Restiamo così quando ve ne andate organizza la storia attraverso l’universo claustrofobico della casa e del lavoro poco […]
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