Quanto tempo s’impiega per arrivare all’isolato successivo. Quanto silenzio moderare o reazione soffocare per un complimento, un invito, un’occhiata che ha valicato il confine del consenso. Cosa indossare pensando al ritorno a notte fonda.
Non c’è una retorica particolarmente tragica nei calcoli a cui le donne sono abituate, la distorsione sta più che altro nel perché tutto questo sia diventato una sorta d’istinto innato. Nelle cronache di violenze sembra che tutto sia chiaro sin dall’inizio, più difficile è individuare le piccole inclinazioni quotidiane che s’incistano in dinamiche psicologiche manipolatorie.
È proprio in quest’oblio comunicativo e nei meccanismi più complessi di una relazione che va a inserirsi Atti di sottomissione di Megan Nolan, una delle ultime novità di NN Editore, tradotto da Tiziana Lo Porto.
Si tratta di un esordio di successo, tradotto in oltre dieci paesi, che racconta la relazione tra una giovane donna e un critico d’arte di nome Ciaran. Il solo confronto tra il progressivo anonimato della protagonista e la ricorrenza del nome maschile suggerisce sin dall’inizio l’annullamento avvolto prima dall’attrazione e dall’interesse intellettuale e poi da un processo di idealizzazione sempre più tossico.
La svalutazione della protagonista passa per tappe canoniche: lo svilimento, l’isolamento e l’allontanamento degli affetti, la presenza di insicurezze che trovano un rifugio in chi sa solo usarle per ferire, il timore di non essere meritevoli di ricevere amore, la solitudine.
L’abilità passivo-aggressiva di Ciaran è insinuarsi negli aspetti meno graditi e far leva su silenzi punitivi e comunicazione contraddittoria per ancorarla a sé. La voce dall’eco autobiografica, però, rifiuta categoricamente il ruolo di vittima perché il suo racconto rischierebbe di non appartenerle, usato com’è per essere strumentalizzato.
Scendere a patti col proprio vittimismo fa solo parte dell’essere donna. Usarlo o negarlo, odiarlo o amarlo, e tutte queste cose insieme. Per me è noioso presentarmi attraverso esperienze che vengono costantemente strumentalizzate come espedienti narrativi nelle telenovelas e sui giornali scandalistici.
è per questo che mi vergogno così tanto di parlare di alcuni eventi, o di trovarli interessanti? Fa parte dell’orrore dell’essere genericamente feriti. Le tue esperienze sono così comuni che diventa impossibile parlarne in modo interessante.
Se voglio raccontare qualcosa della mia sofferenza, sento la mia voce entrare nel canone delle Donne Che Sono State Ferite, diventando sconosciuta, non mia.
Come in ogni discorso sulla violenza femminile Megan Nolan è consapevole di muoversi sul filo molto sottile del relativismo: da una parte, ammettere la colpa, potrebbe voler dire schierarsi dalla parte di chi etichetta tutto nella sfera del desiderio femminile che, nelle accezioni distorte, si avvicina al victim blaming; dall’altra l’estrema dignità e libertà dei corpi è un potente strumento per autodeterminarsi.
La verità sta nel mezzo e l’autrice è molto abile nel non schierarsi proprio perché il fulcro si sposta su altro: quant’è genuina e incontaminata la sua visione? Siamo sicuri che non sia stata plasmata dallo sguardo maschile?
L’idea inconscia è che il compiacimento dell’uomo derivi dal sacrificio, un altro carburante per la reciproca dipendenza. Ed è interessante notare come, nel progressivo sprofondare, la protagonista adotti a sua volta la mentalità vicina all’abuso: «Lui mi aveva privato di una parte di me, ma anche io stavo prendendo qualcosa da lui. Gli stavo togliendo la capacità di vivere senza di me».
L’abisso che genera odio verso se stessa, in un vortice di alcol, omissioni e tradimenti, è tale da contagiarla nel pensiero che nessuno potrà muoverle giudizio se il costo delle punizioni autoimposte aumenta sempre di più.
L’ossessione di incasellare ed etichettare il successo non appena s’intravedono premesse linguistiche interessanti ha definito Megan Nolan “la nuova Sally Rooney”. In realtà la considererei una nuova esponente di quelle generazioni che acquisiscono la consapevolezza di avere a che fare con la complessità di un mondo che raramente si limita al bianco e al nero.
All’autrice di Atti di sottomissione affiancherei la reticenza emotiva, l’immaturità sentimentale, l’indecisione dell’innamoramento dei protagonisti di Persone normali; i rapporti di classe e di potere che s’instaurano nelle coppie raccontate da Naoise Dolan in Tempi eccitanti; le conseguenze anche più spietate e immaginifiche della sottomissione, dell’abuso e dello snaturamento del sé in funzione dell’altro nella raccolta di racconti di Kristen Roupenian in Cat Person. Tutte narrazioni rischiose perché aderenti al reale che però, in qualche modo, conservano la capacità dell’autore di lasciarsi attraversare da un’indagine personale che è solo all’inizio.
Il cortocircuito autobiografico in Megan Nolan è fondamentale per allontanarla dal pericolo di quelle che l’accademica Lauren Berlant ha definito le “lamentatrici”, un pensiero perfettamente esposto da Francesca Massarenti sul Tascabile, in riferimento alla raccolta di saggi di Jia Tolentino. Un tipo di sentimentalismo nazionale, americano in particolare, che riverbera nelle produzioni artistiche e culturali in cui s’illustrano le vicissitudini della vita intima delle donne. è una forma di lamento che, per quanto progressista, non arriva mai a esporsi radicalmente accontentandosi di aver alleviato il proprio dolore all’interno di un gruppo di uguali.
Credo che non ci sia un meccanismo standard per accedere al dolore e al suo racconto, ma è chiaro che l’intimità della Nolan non si accontenta di stare nel margine e si pone continuamente domande senza la pretesa di avere le risposte morali. È l’incipit adatto per inaugurare le Fuggitive, la nuova collana di NN che raccoglierà storie di donne in fuga, perenni outsider che accettano il rischio dell’indagine.

Titolo: Atti di sottomissione
Autore: Megan Nolan
Traduzione di: Tiziana Lo Porto
Editore: NN Editore
Anno: 2021
Pagine: 288
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