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Alle origini: il vampiro di Polidori

Non è un azzardo affermare che il vampiro rimane una delle figure più affascinanti della letteratura horror e, negli ultimi anni, anche il più sfruttato da cinema e televisione. Perché il vampiro sopravvive e, anzi, ha successo, anche dopo secoli dal suo concepimento?

È impossibile dare una risposta certa, ma si può ipotizzare che, come spesso accade nel genere dell’orrore, il significante rinvia a significati diversi assorbendo paure e contraddizioni di un’epoca. Dai riti contro il ritorno dei defunti – ancora praticati in comunità rurali della Romania –, il vampiro diventa una figura che si aggira tra gli uomini, dai tratti fisici particolari, dal carattere enigmatico nascosto da occhi imperscrutabili. Se sia o no nemico dell’uomo ad oggi non possiamo esserne certi, dopo che i media e la letteratura hanno mantenuto la tradizione ma ne hanno creata anche dell’altra.

Prima di arrivare alla combinazione di canini, volto pallido, repulsione per simboli sacri, tutti elementi che caratterizzano il vampiro come lo conosciamo noi oggi, iniziamo dal principio, quando il vampiro era un prodotto delle superstizioni umane, dovute al timore che i morti non fossero propriamente morti e che, senza le adeguate precauzioni, potessero tornare in vita. Né vivi né morti, quindi, che si cibavano dei propri simili.

Lontano dai rozzi bassifondi, però, si andava sviluppando la società ottocentesca, forgiata dalle idee romantiche del rifiuto della ragione e dalla volontà di astrarre dalla realtà.

Spogliato dalla canonica aura folkloristica proveniente dai Balcani e dalla tradizione slava, John William Polidori si allontana da quello che erano stato gli elementi costitutivi della letteratura gotica e scrive del primo vampiro, deciso a conferirgli caratteristiche ben precise. Il vampiro è un racconto decisamente lento e tragico, senza conforto o possibilità di redenzione.

Osservava con sguardo fisso l’allegria che lo circondava, come se non potesse prendervi parte. Quando una gaia risata di una fanciulla attirava la sua attenzione, la gelava con uno sguardo, e incuteva paura in quegli animi in cui regnava superficialità.

varneyLord Ruthven è un aristocratico che si aggira nelle feste londinesi ed è lontano dal provare qualsiasi empatia per le vicende umane. Nonostante «il pallore mortale del volto» l’uomo misterioso scatena la curiosità dei presenti e accalappia con facilità le giovani fanciulle, bisognose di attenzioni e vogliose di aggiungerlo alle loro conquiste.

Sembra che Ruthven incarni un diavolo con il quale la licenziosità diventa routine e la virtù delle sue conquiste è miseramente rovinata. Il suo vero volto si rivela al tavolo da gioco quando spolpa il principiante e si accanisce contro il povero. Il rapporto che lega il vampiro alle sue vittime è quello di una dipendenza morbosa, non solo per le donne, ma anche per il giovane Aubrey prima di essere inghiottito dalla consapevolezza del declino. È come se, una volta mostrato il volto inconscio dell’altro, Ruthven provasse piacere nell’alterarlo. Il mistero che lo avvolge è nato da qui e continuerà a esistere anche in Dracula di Stoker e in molte rappresentazioni successive fino a oggi, quando mistero è anche sinonimo di seduzione impossibile e pericolosa.

L’aristocrazia rappresentata da Lord Ruthven sta tramontando, ma lo sta facendo cibandosi del dolore e, soprattutto, del sangue altrui. Il vampiro di Polidori è fatto di pochi segni riconoscibili (pallido, sguardo cupo, risorge con i raggi della luna), ma molti significati nascosti.

Non è un caso che l’idea dell’autore sia probabilmente venuta dal rapporto esasperato che intratteneva con Byron, di cui Polidori era segretario personale. Ironicamente, quando l’opera vide la luce, dopo una sorta di scommessa tra Byron, Mary Wollstonecraft e il futuro marito Shelley, durante un soggiorno a Villa Diodati sul lago di Ginevra, la paternità dell’opera sarà attribuita per molti anni a Byron. Mentre in Inghilterra l’accoglienza sarà fredda, nel resto d’Europa, soprattutto in Francia e Germania, l’opera avrà grande successo arrivando anche a imitazioni e rappresentazioni teatrali.

Il vampiro è l’atto di nascita di una creatura immortale della finzione che, pur mantenendo i tratti tipici del gotico nel principio, sarà in grado di plasmarsi e attraversare le epoche fino a noi.

Il VampiroAutore: John W. Polidori

Editore: Edizioni Studio Tesi

Anno: 2009

Traduzione: Franci G.; Mangaroni R.

Pagine: 154

Prezzo: € 8,90

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0 commenti

  1. Bello 🙂 Ho un tomo di quelli da mille pagine con storie di vampiri e me lo conservo per l’inverno 🙂

    1. È il Mammut della Newton Compton? Storie di vampiri?

      1. Credo di sì, non ricordo il titolo ma dev’essere quello. Dopo aver comprato tre mammut ho pensato: “Adesso posso anche farmi arrestare” 🙂

        1. Dici che possono essere usati come armi contundenti? Può darsi 😛 Non saranno molto versatili, ma permettono di riunire in un’unica pubblicazione molte opere. Poi vabbè sono usciti i mini-mammut.

          1. Ahahaha, nooo, nel senso che avrei avuto un bel po’ da leggere 🙂

  2. […] noi che siamo deliziati da Lovecraft, Poe e gli autori contemporanei. Se ricordate, anche il vampiro di Polidori non aveva niente delle caratteristiche che oggi riconosciamo nella creatura della notte – non si […]

  3. […] di stile, assorbì le frustrazioni del suo autore e si tramutò in uno dei capisaldi del gotico. Il vampiro ebbe origine dallo stesso, mitico, ambiente che originò […]

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